mercoledì 30 novembre 2011

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la principessa sul bidè
C’era una volta, alla fine del millennio scorso, ma proprio lì lì quasi alla fine, una piccola principessa timidissima.
Viveva in un castello di 90 mq e 3 balconi con vista (e udito e olfatto) sul mercato ortofrutticolo, la moquette rossofuoco e il riscaldamento centralizzato, col re padre, la regina madre e i due principini fratelli...
Il re padre era un re moderno, si alzava presto tutte le mattine per andare a lavorare,  aveva gli occhi che ridevano sempre e quando tornava alla sera raccontava fantastiche storie di regni che visitava e delle genti che vi conosceva.
Faceva un lavoro che la principessa per molti anni faticò a comprendere, al punto che spesso invidiava le damigelle coetanee che se la cavano con un papà che faceva che so il pasticcere o l’impiegato di banca. Perché arrivava sempre il difficile momento di spiegare in piedi di fronte alla classe nuova con le orecchie incendiate cosa fosse il fornitore di bordo specializzato in liquori, che non era un pirata ma forse un po’ sì, e non era un oste ma quasi, e poi pure un po’ grossista ma non per tutti, oh insomma..  si sa che le maestre sono delle incredibili ficcanaso e i bambini sanno essere crudeli, e alla fine la principessa imparò a cavarsela sparando “il provveditore” con un addestrato sguardo saputello , ma a quel punto era quasi ora che ci andasse pure lei a lavorare.
La regina madre era una donna bellissima, il re era andato molto lontano per trovarla, su al nord, nell’isola dei Duran Duran, dei Burberry e del merluzzo fritto con le patatine, e la amava teneramente. 
La regina era una giovane signora che nonostante portasse le riprovevoli gonne di una tale Mary Quant si prendeva molto sul serio e faceva del suo meglio per governare e approvvigionare il castello in assenza del re, ma francamente quella lingua con tutti quei congiuntivi e il diverso concetto di fare la coda di questo suo nuovo paese mettevano spesso a dura prova la sua pazienza.
Ogni tanto finiva che a farne le spese erano i tre principini, che per quanto non stessero mai fermi lei riusciva sempre a colpirli con britannica precisione quando voleva.
Un po’ perché la volontà di ferro era sempre stato un suo pregio e un po’ perché con il cucchiaio di legno e la ciabatta ci sapeva fare, merito del cricket praticato in gioventù.
La vita di corte al castello tutto sommato era una pacchia. L’ala riservata ai principini non era affatto male, se non  che un giorno un non so che ambasciatrice molto sorridente e progressista  li omaggiò di un album da disegno Fabriano e una scatola da 24 colori di pennarelli Carioca, fomentando la loro vena artistica intanto che lei prendeva il thè con la regina mamma.
Peccato che un album in tre finisca presto e l’arte quando fluisce è un fiume inarrestabile.
Quella volta il fiume andò a sbattere contro il solito cucchiaio di legno, e vuoi la moda di quegli anni o semplicemente l’offerta al brico sotto casa , i muri della cameretta il giorno dopo diventarono di un bel arancio carico.
Arancione è ancora oggi il colore preferito della principessa, forse proprio legato a quel periodo che lei ama ricordare come “il periodo dell’anatroccolo”, ma non perché si sentisse predestinata a diventare un cigno bensì perchè le sembrava di svegliarsi tutte le mattine dentro il tuorlo di un uovo.
Ma la stanza in assoluto che più le piaceva era il bagno.
Il bagno del castello di corso Sardegna 58/6 era ricoperto di piastrelle rosa, un bel rosa porcellino ai muri e nero pece in terra. E anche se a una bambina di sette anni il nero fa un po’ paura, il rosa rimane indiscutibilmente il colore non plus ultra in assoluto il più elegante dei colori.
Bastava non guardare in terra e il gioco era fatto.
Ogni tanto però così capitava di pestare scalza qualche ramingo soldatino disertore evaso dalle ceste dei giocattoli dei pestiferi principini fratelli, e lì per lì le veniva un po’ da piangere per il male, ma era proprio un attimo.
Dopotutto era nella stanza rosa, la più bella!
E poi le vere principesse non piangono per i soldatini.
Ma man mano che la principessa cresceva la sua educazione divenne motivo di preoccupazione per i reali genitori.
Dati infatti il forse iper-protettivo carico d’amore paterno rovesciato sull’unica femmina e le scarse possibilità di occupazione per le principesse bilingui nel mondo del lavoro di fossili irremovibili e scontrosi laureati (anzi all’epoca le facoltà pullulavano di briganti) pareva scontata la  predestinazione al glorioso reparto commerciale nell’attività di famiglia.
Lo scoglio delle tabelline andava dunque affrontato e superato a qualsiasi costo.
E soprattutto quella del sei e del dodici, che tra pirati.. ooops.. provveditori, mica ci si scherza con le casse intere di whisky.
Una sera più delle altre il re tornò e trovò la sua principessina molto giù.
Mentre ascoltava gli affranti e sbrodolosi resoconti della melodrammatica piccoletta di spietate interrogazioni, di impari competizioni con più fortunati compagni di classe inspiegabilmente capaci di indovinare tutte le risposte giuste, calde lacrime di frustrazione e sgomento rotolavano giù per le tonde guance della disperata bambina scavando solchi di fuoco e di dolore nel suo cuore di papà.
Decise allora di occuparsi personalmente della questione, in quanto la regina mamma aveva fatto una faccia che lui conosceva molto bene e che era la faccia della mamma che dopo una giornata con tre scimmiette urlatrici non vede l’ora di sfamarle anche a costo di usare un imbuto e ficcarle nell’uovo, mmh… in camera loro, a letto, e niente carosello oggi, i said now!
Allora il re prese in braccio la principessa col suo quaderno a quadretti tutto sputacchiato di lacrime e le disse
”adesso sei troppo stanca, ma metti il quaderno sotto il cuscino stanotte e vedrai che entro domani mattina i folletti ti avranno portato tutte le risposte giuste nella tua bella testolina dura. Ti vengo a svegliare presto e le tabelline le  ripetiamo insieme”
Con questo trucco magico l’indomani la principessa non aveva dubbi che avrebbe stra-battuto tutti alla gara di tabelline.
Scattò fuori dalle coperte lesta come un furetto glabro e mentre il sire padre si preparava facendo smorfie allo specchio nella stanza rosa lei seduta nel regale trono/bidè coi piedini a penzoloni ritmava declamando fiera.. 2 x 5 = 25 …3 x 6 = 46… 5 x 7 = 67… 6 x 8 = 48 (casualità) … 7 x 9 = 69…
Il re sorrideva con aria strana, annuiva teatralmente e ogni tanto la correggeva.
A un certo punto però si voltò e asciugandosi la roba bianca che aveva sul volto parlò con aria seria seria alla piccola principessa guardandola negli occhioni fiduciosi.
“Ora stellin, quando sarai lì a scuola oggi, o in qualsiasi altro posto e momento della tua vita, e ti sentirai di avere tanta paura di non farcela, di avere a che fare con qualcosa di più grande di te, chiudi gli occhi e immaginati la maestra o il tuo peggior nemico seduto sul gabinetto che fa la cacca. Vedrai, fidati del tuo papà”
Allora, la principessa fece una figura meschina quella volta a scuola.
Ma ne fece poi molte altre nel corso della sua carriera di studente, finendo pure rimandata di matematica e fisica a settembre in seconda liceo (ovviamente la prof ce l’aveva su con lei) e quindi finì per non farci più caso. Poi arrivò Bill Gates e la principessa divenne una accanita sostenitrice di excel.
Imparò che una calcolatrice la si può sempre comprare, ma la capacità di guardare oltre il problema contingente e godersi il bello della vita no, quella l’aveva imparata dal re.
E ancora oggi quando affronta un avversario commerciale, un funzionario prepotente, un cliente spacca balle, una stronza che ti vuol fregare il posteggio o l’ultimo paio di scarpe 36,5 di gucci in saldo, la principessa non dimentica mai che la persona che ha di fronte non è che un altro essere umano, esattamente come lei, fa uno strano sorriso e si domanda che carta igienica usino.
E comunque : 3 x 6 = 18 … 6 x 6 = 36 … 5 x 12 = 60

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