mercoledì 14 dicembre 2011

ora solare


lunedì 31 ottobre
l' ora in più che scivola piano rincorre un sogno con la mano riempe il ronzio d'un rosa dentiera.
odore di femmina accompagna il caffè sorriso ebete dentro di me.

crissmasssiscomin


- ..mami!? maaaami?!
- good morning sugar, i'm over here!..
- mami!? uerraiù?!!
- in the kitchen boyo - do you want your breakfast sweetie?
- iesmami.
(momento freeclimbing felicemente concluso con adorato tiranno issato al tavolo, avvinghiamento e scampata devastazione termonucleare globale con aggancio alla tovaglia e conseguente rovesciamento di tazza di nescaf rovente, yogurt e scatola cereali - ma perchè le fanno così alte e strette??)
sospiro di msH.
- mami.. we need you buy a drum.
sopracciglio di msH. 
- here's your milk darling, we don't NEED to buy anything, sweetheart. Besides, i'm nearly sure you already have a lovely guitar somewhere in your room.
- ehyes mami, need buy a drum.... foriù!
puzza di raggiro nelle narici di msH
-for me?  thankyou baby. (... manovra d'emergenza per bilancio domestico:)  maybe if you're really really really good, you might get a drum for christmas..?
entusiastico assenso.
-ehyes mami: you drum me ghitar, we be like rollistones!!!

come si fa ad amare così il proprio sfruttatore?

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Cucù 1
mercoledì 3 settembre 2008 13.37
la mia sveglia gorgoglia, gongola, urla, fischia e sputa.
Ogni tanto ceffa, e parte alle tre o alle cinque del mattino, così.
Non basta una manata  a spegnerla, ci vuole una bottigliata di latte e una gragnola di baci.
E chissà che sorrisoni gengivati a ottobre, quando sarà di nuovo tempo di ora solare…

olimpica disciplina
mercoledì 3 settembre 2008 16.56
Campionato di lotta libera nel passato di verdura: vince per poco scarto il piccolo pavarotti, alex getta lo strofinaccio accecata da spruzzo ribaldo e attacco di (crema di) riso.
Secondo voi l’omogeneizzato di coniglio, come maschera antirughe, fa?

cucù 2
venerdì 16 gennaio 2009 14.07
e vabbè, ritarderò.
che quì mi costa che in cassa al super con pacco di 22 pampers a mò di baguette, falangi destre uncinate a 3 bi-pack plasmon manzo&pollo (lo sapevate che con pollice e indice si riescono a prendere al volo e reggere fino a 7,8 kg di argentovivo urlante sul bordo del letto?) e flaconata di bagnetto dolci notti tra i denti (presa per il mio culo, questa, anche senza mani..) mi verrà da sbuffare.
ma la questione "tempo" non è più roba di questo (mio) mondo, che mi preoccupavo tanto per le sventure isolane dell'Honduras, e siamo già al baraccone GF: ma come volano i giorni quando non dormi la notte!
e ti scappa un sorriso brontolante nel cuore della notte quando qualcuno decide che è ora di cantare a squarciagola coi suoi tre denti sbilenchi e un cappero gigante piccicato sul mento.
sto bene, credo.
ho un pò da fare, ecco.
ho cambiato orari, taglia, priorità.
ho pure cambiato telefono, pc, casa e religione.
fortunatamente la password di splinder è ancora quella.
e sotto sotto, pure ms jekill è ancora lì.. ;-)

sonni inf(r)anti
giovedì 29 gennaio 2009 9.43
bella l'aurora.
bella pure la vita bucolica, forse.
ma sta cosa di alzarmi alle cinque da due settimane a sta parte per accudire un agnellino che gorgheggia come un galletto malese  e caca come un vitello chianino non so mica se me la sento proprio mia...

B&B
venerdì 6 febbraio 2009 10.13
e poi mi sono presa una piccola vacanza.
una pausa di un quarto d'ora dalla bufera delle mie lunghe giornate
a respirare piano l'aria stampata e ferma nella luce di quella stanza
indugiando cuore e sguardo sulle pagine soffici protette da corazze patinate
due souvenir, han deciso d'istinto di restarmi accanto, in borsa:
un Benni e un Bukowski, che non so quando, ma leggerò,  di corsa...


ortopedologia
martedì 10 febbraio 2009 9.59
mondi inesplorati si spalancano ai cuori curiosi e agli indomiti portafogli del novello genitore.
che fino alla soglia della quarantina aveva vissuto senza il benchè minimo sentimento di bisogno nei confronti degli umidificatori e dei negozi di articoli sanitari.
così, introducendosi con cortese saluto alla mecca della stampella, miss J ha scoperto  ieri pomeriggio un mondo nuovo di diavolerie meccaniche e gommose, croce e delizia di piccole folle odorose di lavanda e astracan, inquietanti possibili evoluzioni del suo privato corredo di guepiere e frustini. 
davanti ai suoi pensieri, una giovanile nuora che ha impiegato mezz'ora per decidere se il dispositivo frenante per la carrozzella fosse davvero necessario, considerazione invero tentatrice, data la caratteristica topografia della nostra città.
dietro, diventato un pressante a fianco e poi ad un mio ma prego rassegnato, davanti pure lei, che mi scusi ma dovrei solo chiedere, una determinata sciura Evelina Nonsochè, in tremebonda cerca di suo articolo "in riparazione", una sorta di spinnaker uncinato di pizzo corazzato color manichino impietosamente disteso al pubblico scrutinio ma ahimè non ancora revisionato dalla bustaia.
e una ressa di turchine schiave  del denaro spesso, del tallone rinforzato e della guaina contenitiva, in processione al banco del sostegno, fisico ed emotivo dove due zufolanti fanciulle in lip-gloss e  zoccolazzo bucherellato raccoglievano confessioni e banconote, elargendo rimedi posticci e fatture.
alla fine di tanto vaudeville l'umidificatore l'ho trovato altrove, ormai disperata, in piccola farmacia, dove un solerte giovanotto dai modi gentili e gran bel culo, dopo vario errare per irti scaffali mi ha pure omaggiato di borsone da spiaggia sponsorizzato per il trasporto del mio meringone elettrico sparavapore.
non si finisce mai di imparare...




chi ben comincia...
mercoledì 11 febbraio 2009 12.45
Un piccolo uomo stamane mi ha informato serio serio di aver indosso per emergenza la biancheria ereditata dalla sorella, scoprendosi un pancino vestito di minuscole farfalle.
Quanta tenerezza per il tranello della collezione più vecchia del mondo…


cuore di carta
lunedì 2 marzo 2009 11.14
una smoccicata traslucida sulla spalla destra
un'impronta di frullato di tacchino e piccole dita all'altezza del ginocchio di jeans
crosta di biscotto plasmon sul bordo della maglia di cachemire
ciocca di capelli ingrumata con sostanza chiara di non meglio identificata natura, presumibilmente alimentare, sulla mia tempia
spolverata di latte sotto il polsino della giacca e colletto di pelliccia croccante
bella che incenerita la mia presunzione di non diventare mai una donna kleeenex....

elementare, Watson..
venerdì 20 marzo 2009 14.05
http://www.timesonline.co.uk/tol/life_and_style/women/families/article5919880.ece

sensazione umida
mercoledì 1 aprile 2009 10.25
svegliarsi all'alba nel tuo letto tutto bagnato,
smadonnare nel buio che in fondo sei tu che hai sbagliato,
che il piccolo mostro rosa che hai invitato nel cuore della notte a dormirti accanto
per quella tosse cattiva che lo tiene sveglio, ha poi pure vomitato tanto...


la lupa perde il pelo...
giovedì 22 aprile 2010 10.18
Mrs Hyde deve la polvere che si è stratificata sul suo blog a 11 chili scarsi di mercurio bipede.
Anche i cm di pelo sugli arti inferiori sono riconducibili allo stesso vispo tiranno.
Con la differenza che questi ultimi non hanno bisogno di una connessione ad internet per farsi notare: bastano due raggi di sole e un ditata nell’occhio del sopito amor proprio.
E un salto in profumeria, per sistemarli.
Però di fianco alla profumeria è spuntato un negozietto moderno dove un prezzolato giovanotto ha pietosamente profuso la sua sapienza per dipanare certe pigre perplessità, mandandola a casa con una sim nuova per la sua collezione, e per la chiavetta che era arrivata a natale.
Così, grazie ai peli, mò mi toccherà levare pure un po’ di polvere.

sangue, colore e lacrime
giovedì 22 aprile 2010 11.05
L’ospitale domicilio dove Mrs Hyde, la sua giovane mangusta glabra e il peloso scorregione quadrupede hanno trovato rifugio negli ultimi 18 mesi, come nelle migliori famiglie e nelle più banali realtà, altro non è che la magione degli augusti genitori.
Che qualsiasi ragionevole adulto considererebbe la migliore soluzione, volontariamente dimenticandosi che i tappeti delle case dei genitori nascondono mine anti-figlio, che i muri sospirano di adolescenziali guerriglie mai sopite, e che le lasagne rigurgitano velenose e stagionate recriminazioni.
Se fossi più accorta sceglieresti di imparare a volare a 50 cm da terra, con due tappi di spumante nelle orecchie e di campare con tre pacchi di gallette di riso sotto il letto, prima di fare il passo.
Ma si sa, nel periodo post-parto, in quanto a lucidità mentale si avrebbe bisogno di qualche gallone di sidol, invece ti regalano solo cesti di fissan e borotalco.
 Va da sé che si sopravvive, per carità.
Anzi, alla fine vale che se il tuo peggior nemico non riesci a batterlo, alla fine te lo fai amico.
Così ti accorgi che le lasagne molto spesso lasciano il posto all’insalata, che la tappezzeria è stata cambiata anni fa, e che i tappeti preservano la cassa cranica del piccoletto di cui sopra, che sarà pure mangusta, ma deve ancora imparare che non è a zuccate che si fan fuori i cobra.
Bene.
Proprio sopra la magione, c’è un piccolo locale, con annesso terrazzo perimetrale.
Detto locale, un tempo molto lontano, e molto poco raccomandabile, era lo scannatoio di un allegro scapolone, piuttosto socievole, di bocca e cuore buoni e persino amante delle piante.
Dopo diversi inverni violentati dal suono rotolante dei vasi di limoni flagellati dal vento di mare e numerose estati tormentati dai risolini di pollastre e urla di aquile da materasso, si addivenne ad un civile accordo finanziario e la piccola soffitta passò di proprietà alla famigliola sottostante.
Con buona pace dunque della augusta genitrice di mrs Hyde, allora divenuta neo proprietaria filo-geranista e gelsominofila, nonché odierna Grandmà, che da diversi anni nella soffitta terrazzata ci tiene un piccolo laboratorio artistico, dividendosi tra il dipingere con sommo piacere e discreti risultati e lo sterminio di afidi con frustrante accanimento e insetticidi inutili e puzzolenti.
O perlomeno, cerca di farlo, perché anche lei ultimamente, con certi altri ospiti per casa, ha dovuto smettere con le cazzate da tempo libero nella terza età.
Così gli afidi si fanno le grigliate in terrazzo (e vanno a tutte le feste che mi perdo io..), mentre lei pazientemente rimette quei microscopici e sfuggenti tappini giusti ai tubetti di colore corrispondente che il nipotino (santo) accatasta scompagnati il giorno dopo.
Qualsiasi rimprovero in tal senso viene tacciato di insensibile freno alla sua creatività.
I bambini devono scoprire i mondo per imparare a viverci serenamente.
Sarà.
Resto dell’idea che se qualsivoglia situazione o oggetto possa per me rappresentare fonte di indicibile sbattimento per il ripristino dello stato originale, la rimozione dello stesso dalle mire del mangustino è da preferire senz’altro al suo sereno apprendimento.
Anche perché, diciamocelo, io se dopo cinque ore di sonno a notte, sei ore in ufficio, due ai giardini, una al supermercato, una nel traffico,  un arretrato cumulativo di tre pipì e il salto del pasto, quando arrivo a casa se il piccolo tesoro mi rovescia una scatola di fusilli sul pavimento della cucina solo per sentire il rumore che fa, io, beh, gli spezzo le gambine.
E con cosa lo va a scoprire poi il resto del mondo?
Sono una madre insensibile ed egoista.
E allora un paio di giorni fa in soffitta con la grandmà al cavalletto, la qui madre egoista etc etc    strappa di mano al figlio una boccetta di acquaragia  – e gli lascia in cambio la scatolina di mentine.
E quello se ne va trotterellando in terrazzo felice e ignaro, a godersi il frutto del suo ricco baratto.
“E se gli vanno per traverso e soffoca? Non credi di fidarti un po’ troppo?”
sorvolando sugli effetti di accidentali ingestioni di diluenti chimici, perché una madre – ho imparato – oltre a non avere il tempo di tagliarsi le unghie dei piedi per tre settimane di fila, non può concedersi il lusso di filosofiche disquisizioni pomeridiane (salvo poi fissare il soffitto alle 5 del mattino della domenica cercando di ricordarsi com’era prima, quando i problemi erano se farsi il colore venerdì sera che così scarica o sabato mattina), una madre, dicevo, deve agire in fretta, e dunque richiamo il piccolo caligola, intimandogli di stare a vista della sua mamma, così se si strozza riesce a capovolgerlo (con amore) e scrollarlo come un pero (con dolcezza) prima che diventi blu. Sennò lo faccio nero. Diddiùhiarme?
Il piccino, oltre che infinitamente più furbo di tutti noi, cane e felino compresi, è pure di una dolcezza sconcia. Ahimè.
Si gira, mi sorride con la sua menta perfettamente annidata sulla lingua, rivolo di bava filosa sul mento, guanti di pelo di gatto e terriccio e mi corre incontro.
Sorrido, e allargo felice le braccia in attesa che tutto questo si stampi sui miei vestiti, come si fa a non amarlo uno così?
Quello invece che fa?
Inciampa sul manico del rastrello della nonna, e sbatte la crapa contro lo stipite della porta finestra.
Un urlo.
Che non era mio, perché io sono lì bloccata dallo sgomento, incredula che si possa essere così sfigati già quando sei alto solo 86 cm.
E manco suo, meschinetto, perché era ancora faccia a terra, in stato confusionale.
La grandmà, lì di fianco.
(secondo me sa volare e non vuol dirmi come fa)
Che solleva il piccino (oddio si sarà rotto il collo)
maschera di sangue (oh my god oh my god oh my god) sul ferito,
lamento piano,  poi pianto squarcia cuore.
non si capisce niente, sento ma non riesco a vedere, la grandmà non sta ferma, non sta zitta, non mi lascia avvicinare al mutilato.
Vado a prendere quattro salsicce dal freezer, trovo una breccia e le appoggio sul crapino ferito, arriva una pezzuola bagnata (sa volare pure la pezzuola?) che mi presenta la fonte dell’emorragia, un taglio netto di un paio di cm.
 Si va di filato al pronto soccorso dell’ospedale pediatrico col fagotto ferito.
Un’ora dopo, nella sala di aspetto, in mezzo a una piccola folla di altri codici verdi, mangustino lo sfregiato sta belligerantemente contrattando per dei pezzi di lego con l’elica da una biondina alta 20 cm più di lui due avambracci da muratore e la molletta di hello kitty storta (sarà, ma a me sta hello kitty mi sta sul cazzo da morire..).
La grandmà è seduta su una delle sedie in fila contro il muro, appoggiata lì come un cappotto pigiato, gli occhi blu ancora gonfi  per lo spavento, un baffo di tempera ocra in basso sulla guancia, e mi viene il sospetto di essere nell’ospedale sbagliato, mi viene quasi da andare lì e abbracciarla perche c’è, e – ORRORE – ma si è messa i mocassini marroni con la tuta nera???!!!

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Brocantaggio a Brigantio
mercoledì 23 luglio 2008 1.16
A 1325 metri di altitudine, incastrata come un sassolino antico nel soffice verde alla clorofilla della val Durande, Briancon splendeva al sole croccante di una mattina di luglio, coi suoi denudati tetti e il belletto delle facciate rifatte in prima fila come simpatiche battone quatte e rilassate ai lati del loro canale di scolo.
Uno stucchevole restauro spilla soldi attirava i turisti marsupiali e i loro polpacci pelosi, come una spietata carta moschicida per banconote di moneta unica, salvandole – quest’ultime - dall’asfissia noiosa in portafogli serrati da lunghe giornate di salutari ed forzatamente economiche passeggiate d’alta quota. Dopo tanti fiori alpini, prati alpini, uccellini alpini, pecore alpine e baite alpine e empori alpini dove sì, trovi tutto, ma di una sola qualità, ecco, dopo tanta austerità alpina quale avido delirio andare a sbattere zigzagando come insettoni dal culo blu nel paradiso perfetto di casette di marzapane, un restaurato borgo medievale tempio della saponetta provenzale e annessi strofinacci istoriati, vetrine traboccanti d’inutilia da torpedone stagionale ma con quel non so chè di charmant  tipo il campanaccio vaccino a forma di cuore, la t-shirtucola artigianal-hippy-chic che ti cambierà la biancheria (in un solo lavaggio), le pietruzze dure al laccio che ti risolveranno l’esistenza, la matitella frufru, il portachiavi gnegnè e il peluchetto marmotta mailove che ti fischia vicino come una sirena ipnotica e appiccicosa, infallibile esca per bancomat sprovveduti.
Arrivi in fondo al viottolo del paese dei balocchi, al di là del bastione panoramico un verde velluto  si estende e si insinua fra incappucciate perenni, testimoni di millenni, dal buon Annibale coi suoi elefanti prima della moira orfei ai teleobiettivi japaneeze, da non sapere da che parte guardare: valleverde&vette o vetrine? 
La seconda. (voi non potete capire cosa sono due settimane senza shopping, per forza che poi Clara camminava). 
Ripercorriamo il borgo quindi, ammirandolo ancora nella sua perfetta pulizia, nella simmetria cromatica delle insegne, nella vellutata flora dei cesti appesi alle fontane, nella cordialità dei suoi menù touristique, sospirando contenta dei tuoi souvenirs, delle tue scarpe comode e della civilizzazione millenaria del consumismo, quando da buona figlia del vicolo l’occhio ti fugge oltre l’angolo, su per certe scalinate diseguali, dietro i vetri impolverati, a scandagliare cenni di vita vera oltre a quel presepe di mezza estate, ispirata dall’indicazione di un  monastero barocco poco più sù.
E te c’hai voglia di arrampicarti come un capriolo, ma la chiesuola sta chiusa, fermée.  Dal 16mo secolo, a giudicare dal suo deplorevole stato di abbandono. E  c’è pure chi dimostra di aver parecchio apprezzato la cosa, appropriandosi di fatto dell’aiuola antistante, a conferma  che lì oltralpe tengono in grande considerazione il diritto al wc (e chi di noi damigelle non ha provato sbigottita i super tecno-confort-igienicissimi servizi pubblici, magari sperando di farla in due per dieci franchi?!) - sacrosanto - pure per li canetti… Ma delle casupole anni trenta appassite dal gelo e dalle primavere, delle imposte legnose rosicate dal tempo di botteghe di chissachè e quando, e del piccolo musèe des automats dal tetto sfondato, troppo lontane dalla via dei negozi, ma non abbastanza dalle loro cucine, ahimè non interessa a nessuno?!
Torniamo alle grasse vetrine, in cerca di cibo, per scacciare l’amarezza.
Dribbliamo verande tappezzate di pizzas, plats du jour e storie di formaggio, alla ricerca di una rustica panca coi nostri tesori di quiches e tartelettes  insacchettate calde e finiamo così in stradina semi secondaria, sporca quel tanto che basta da farla sembrare vera, tagliata da fette regolari di sole larghe a sufficienza da non farci sudare e con un cavallo a dondolo azzoppato a far la guardia e l’antipasto in cima a quattro gradini  d’entrata alla grotta di un appetitoso Brocante.
Bonjour! Avanti.. la testa un poco ti si piega entrando, che il soffitto è intimo assai, e la signora brocante gentilmente sorride. Un figurino esile, occhialino tondo e tante collane castigano la scollatura di una blusa aragosta, morbide pieghe da sotto le quali spuntano due stecchi in jeans e sandalaccio. Tocco. Tocco moltissimo nei negozi dei rigattieri. Tocco la polvere di vite di altri, di storie vissute. Di sciopero delle pulizie anche. Di cenere dei due pacchetti di marlboro che madame tiene accanto alla scrivania. “..avez-vous des poudriers?” chiedo, per la mia piccola collezione di casa. Mi regala un sorriso, poi un soffio sul fianco di una bambolona guercia solleva una nuvoletta rosa “ah, non, terminès! j’en avais, mais maintenant.. j’ai seulement de la poudre!” ride roca, e ci divertiamo del gioco di parole.
Ha settant’anni e a settembre chiude la baracca, che quando era una bimbetta ci teneva le capre suo nonno lì, e così adesso fa i saldi e poi si trasferisce al sud.
Compro un vecchio diffusore per qualche spicciolo, che l’arsura secca di alta quota mi brucia la gola, e poi un piccolo calice da rosolio, per una cifra stupida se penso al ricordo che è destinata a  contenere. Chiedo il prezzo di una piccola acquasantiera e di una catena da orologio in ottone. “Ouff…Ca je vous donne!!”  Ringrazio, saluto, la crapa piegata da un lato, stavolta.
Sgranocchiamo i nostri pranzi, ripartiamo presto: non voglio che nulla turbi la mia scoperta preziosa, finalmente di un francese cordiale… 

chi ha il cane (e chi) non ha i denti
mercoledì 20 agosto 2008 10.39
e chi l'ha detto che non si possono insegnare trucchi nuovi ai cani vecchi?
al suono di coperchietto schioccante pollo plasmon mi compare una coppia di occhi marroni e pelo compostissimi e attenti.
le gengivine rosa invece strillano finchè non gli ci metti in mezzo qualcosa...

home is where the heart is
mercoledì 27 agosto 2008 13.56
ho-me
Sul perché un popolo così riservato pubblicamente (almeno i pochi purosangue rimasti sull’isola..) e dal gusto più kitsch in fatto di tappeti a metraggio e tendine da cesso abbia deciso di tenere separate e chiamare diversamente la casa intesa come costruzione e come focolaio dovevo arrivare alla soglia dei 40 e trovarci lo zerbino con scritto smile sunshine per dannarmici a capirlo.
O quantomeno a cercare di accettare che la cosa ha saltato una generazione nella mia famiglia.
È che ho poco tempo ultimamente. Poco tempo per me, poco tempo per le stronzate e poco tempo da dedicare a far piaceri.
Il mio nuovo coinquilino si è installato a casa mia da sei mesi, e niente è stato più lo stesso. Urla, gorgheggia e canta di notte, e quando vai a vedere di farlo ragionare, ride, e ti convince a restare a far due chiacchiere e una bottiglia, e magari pure a sfilargli le mutande.
La sua roba è sparsa dappertutto, ad asciugare, da stirare, da sterilizzare, da lavare, da piegare, da mettere a posto, da dare via.
E dire che ero stata avvertita.
Ma è come quando trovi un sandalo strepitoso in saldo e pensi che con un po’ di alcool e sapone sfregato su punti critici cederà e invece ti ritrovi coi piedi a quadrotti come una sabrina, qualche sospiro di frustrazione e un sorriso innamorato.
Un bimbo non è affatto un affare di eleganza e di colpi di fortuna.
Ma quando te ne accorgi è troppo tardi, sei già cotta arrostita, e te ne freghi, perché ormai  le tue priorità sono cambiate.
E così succede che il tuo appartamento in centro con giardinetto (amazzonico ultimamente) in caratteristica e irta crosa pedonale non ti va più bene.
O meglio. Inizi a pensare che forse esistono soluzioni più comode perché lo zainetto umano che ti porti a spasso di recente  non passerà di certo dal marsupio direttamente al motorino.
E qui  si risveglia il british-genoma, che aggrotta la mia fronte.
La nonna d’albione sfodera gran sorrisi, buon senso e ottima volontà, incrinando la pax romana che questa mia maternità a sorpresa aveva imposto non senza il mio velato interesse (ma le madri questo già lo sanno, e anzi se lo aspettano), sciorinando una lista di ordinatissimi e comodi appartamenti nel raggio di 27 passi da casa sua.
Non ho nulla in contrario ad un cambio di residenza (balle…), e passi pure la vicinanza genitoriale un po’ claustrofobica, ma i perversi meccanismi che mi  portano all’identificazione  morbosa con la (mia) casa perfetta, che so che non esiste e che però io decido lo stesso  di voler abitare (ma che  – ahimè – non mi potrei permettere), uniti ad un’inspiegabile propensione a sceglierla da me nel mese di agosto, non promettono nulla di buono.
La mia casa dev’essere d’epoca, vecchia, vecchissima, magari decrepita, che io la possa recuperare dove si può, adeguandoci l’una all’altra per rispetto e per passione per tutto ciò che lei ha visto prima di me, e tutto quello che le farò vedere io. E deve avere almeno un balcone per guardare fuori tutti assieme, e per la ciotola dell’acqua di rocco sempre pronta per il campionato dei suoi tuffi di naso a bomba.
La praticità viene dopo. E il garage pure.
Epperò I miei  abitano in agiata periferia edificata soprattutto dopo gli anni cinquanta, io in quartierello snobbetto costruito da famiglie arricchitesi con il fiorire della città nella seconda metà dell’ottocento.
Così non si va avanti.
Anzi vado indietro, mi aggiro per le stanze della mia casa, che tra qualche settimana sarà spiata da sconosciuti, finché non arrivi qualcuno che la stava cercando, che l’aspettava, che è lei, lui, insomma loro.
Odierò coloro che osserveranno e non compreranno, educatamente curiosi o imbarazzati dalla delusione, così come odierò finalmente i compratori e il loro trepidante sorriso.
Ogni muro di casa racconta i miei dieci anni trascorsici in mezzo: le maniglie delle mie porte, gli interruttori della mia luce, gli spigoli  che i miei piedi conoscono anche al buio, il numero di passi che mi portano ovunque a occhi chiusi.
I quadri che le ho appeso ovunque e gli specchi lì a denunciarmi gli umori e le ore piccole, le pareti di colore strafottenti come manate in faccia o vellutate e fuori moda come latte e menta, la porta di ferro da officina che conduce ai fornelli e le sorelle maggiori di legno sgarruppato che abbracciano e nascondono le altre attività, rovere biondo ovunque sotto le piante scalze, e peli di cane dappertutto.
Fuori il rumore del vento e il ronzio delle api tra i guanti rossi del mio gelsomino, un motorino scoppietta in curva giù sotto gli ippocastani del corso,  l’irrigatore del vicino sibila, ma è ancora in vacanza!, l’ascensore ansima e arriva, buongiornano la signorina del quattro e sbatacchiano il portone i ragazzi del sei o forse quelli del dieci che han sempre fretta.
Casa.
Casa non è solo una piantina, un piano, un tetto, accidenti.
Un barrito.
Il mio piccolo pavarotti affamato coi suoi quattro peli in testa e le orecchie rosa rosa.
Chissà se nella nostra prossima casa ci passerà il passeggino dalla porta…
 
riepilogo
mercoledì 27 agosto 2008 13.55
Bene bene.
Finite le vacanze mie care?
Allora, dopo la sigla, i titoli e prima della pubblicità:
Sono rientrata alla base in anticipo dalle vette montanare e fin troppo frescoline per la mia idea d’estate, eccomi a casa quindi per la gioia delle legioni di zanzare che possono riprendere i loro barbecue quando riesco a fare un po’ di giardinaggio, col machete, tra i quotidiani riti di misurini, frullatori, pampers e amplessi bavosi, che tutte le mie cure primaverili sembra proprio abbiano dato i loro frutti, e pure fusti e foglie però, grazie a madre natura, che in vacanza non ci va mai, eh..?
Sono ancora ovviamente tutti i miei morbidi +6 da smaltire, visto che l’altitudine e la natura stimolano passeggiate, ma pure caprioli e polenta, e ora non ho manco più la scusa dell’allattamento, che siam passati alla mellin,
Perlomeno niente depressione (avercene il tempo..) e neppure alopecia della puerpera.
E siccome la lupa non ha perso il pelo, figuriamoci il vizio:  così mi sono alleggerita l’anima, tornando (mamma) single!
Ma tanto voi questo un po’ ve lo aspettavate dai, un uomo per casa (mia) era già abbastanza, due era decisamente una folla (o una follia?..)
Durante le olimpiadi il piccolo tiranno ha smesso coi tentativi di bungee dalla carrozzina per tentare la promettente carriera del  pugile solista nel suo nuovo ring di vimini 100x50, dove per ora riesce a ficcarsi da solo in un angolo, tra un round di baci, urla e botte con un orsetto con l’epatite, una tigre che deve aver esagerato con gli acidi in gioventù e un canetto-libro con un principio di alzheimer. L’unico ostacolo al momento sembrerebbe la categoria, che il peso della mutanda varia notevolmente nel corso degli allenamenti impedendo la classificazione qui. Ovviamente le lezioni di canto ululato non sono state interrotte, che diventare una rock star del metallo richiede dedizione assidua, e allenamenti a sorpresa ogni due o tre notti, con consumo smodato di bottiglie e pomate. Alla bandana per adesso si preferiscono i bavagli, che la mattina danno quel tocco di mantella del mistero e un’aria decisamente da superman.
La nostra casa è allo sbando, assediata da attrezzi necessari per gli allenamenti, le cure estetiche e dell’ugola, il trasporto, il nutrimento e lo svago.
Rocco – per la sua stessa incolumità – è in colonia. Il porco se ne sta sdraiato tra i cuscini e i kilim dei nonni, mi fa un sacco di feste quando mi vede, ma di tornare sotto lo stesso tetto dell’aquilotto urlatore qui non se ne parla, tanto più che gli arrosti che volano da queste parti lui non li ha visti in 10 anni di vita ribelle da cane di single. Quando me ne vado appoggia il muso al mio fianco, mi scodinzola piano e torna al divano, tra uno sbadiglio rassegnato e un peto borghese.
Personalmente non mi dispiace affatto (pensare di) tornare alla civiltà tra un mese, magari ci scappa che riesco a far addormentare cullandoli i miei clienti più nevrotici
Gli autori però han pensato che non ne avessi a basta dei colpi di scema.
Per essere certa di non annoiarmi troppo ho fatto avanti e indietro da casa mia ai miei qualche decina di volte, salutando il benzinaio con bei biglietti color salmone, e pregando che il nido ancora ci voglia sotto la sua ala,  maturando così ai semafori la scellerata decisione di vender casa e provare l’avvicinamento domestico ai miei vecchi, che forse forse tra carburante e babysitter madrelingua mi ci esce davvero la rata del mutuo..
E così a settembre oltre alla agognata graticola della scrivania mi aspetta la vergine di ferro degli agenti immobiliari dentro e fuori casa.
Altro che multicentrum, tantum verde, activia, fibresse e nutrisse…

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adoro le sorprese...
domenica 16 marzo 2008 0.13
Era una notte buia e tempestosa.
E miss Jekill se ne stava beatamente sprofondata in un insospettabile pigiamello frufru e plaiddino d’ordinanza sul suo divano a godersi la domenica sera col suo pancione e il dottorraus fregandosene bellamente della bufera che sbatacchiava gli alberi e le imposte, e beandosi pure all’idea del mattino successivo, che questa cosa del congedo di maternità cominciava proprio a piacerle.
Quando qualcosa iniziò a darle un certo fastidio, un doloretto lì in basso a sinistra.
E a un certo punto fu impossibile far finta di non stare proprio una meraviglia.
E anzi a doverla dire tutta forse era meglio andarsene a letto, che se era un crampetto così si rilassava un po’.
Ma tant’è, sto doloretto non passava.
E allora tanto valeva alzarsi a far la solita 34ma pipì.
E fu allora che miss J si arrese all’evidenza.
Quella non era roba da far finta di niente, quello era sangue vero.
Che si fa?
Via il pigiama, presto una tuta,  grattata di testa dell’ignaro cagnetto scodinzolante, deluso dall’ordine triste di tornare a cuccia, coda bassa, odore di casa mia, chiavi, anche quelle dell’auto, portafogli, telefono, giacca.
Via.
Via al pronto soccorso più vicino.
Porca vacca che tempo da lupi.
Porca vacca però almeno non c’è nessuno per strada, e un sacco di posteggio,  e niente coda prima di te in ospedale.
Un giretto in sedia a rotelle, ecografia, cos'ho mangiato per cena e quando.
Un’ora più tardi c’era un freddo cane dentro a quel camice verde, due poveri genitori appena arrivati che erano diventati nonni così, e però pure loro un po’ verdi,  e un’aragostina rosa scura di 1.250 grammi con tanti capelli e troppi tubetti, prigioniera di una teca che mi passava accanto su ruote più urgenti delle mie.
Sta bene, ma per sicurezza lo trasferiamo al reparto di terapia intensiva dell'ospedale pediatrico cittadino - cenno di sì.
Il resto della notte è una nebbia tiepida di flebo e lettino chirurgico, qualche urlo belluino qua e là di gentili signore partorienti dalla stanza accanto, calpestio frettoloso di zoccoletti di pasciute infermiere su e giù per il corridoio, e una sete maledetta.
Era il 4 febbraio scorso, io c’avevo ancora un mare di cose da fare nelle 6 settimane che mancavano al parto, dei peli spaventosi dalle ginocchia in giù e nessunissima idea che il cesareo facesse così male una volta finito l'effetto della droga mannaggia.
E  iniziavo giusto appena a capire quanto ti fanno preoccupare  sti’ figli.

notti di passione, latte e merda.
martedì 6 maggio 2008 1.59
teddy boyocchei.
sempre pensato le peggio cose delle femmine dalle grandi promesse.
quelle grandiosamiche che al primo sguardo di uomo ti mollavano a piedi col tuo mezzo drink tiepido a ricominciare il discorso con qualcun'altra.
non mi aspetto pietà dunque per la trascuratissima mia passione scribantina.
ma la colpa è tutta di un giovanotto che mi tiene sveglia la notte, (a me e pure a mezzo condominio), che mi fa dimenticare i pasti (mica i miei, per carità, ma quelli del mio compagno e del mio povero cane),  rinnegare tacchi e profumo e che da me vuole solo tetta o bottiglia in cambio di tanta cacca.

vita da star (freschi)
lunedì 26 maggio 2008 22.09
pfui alla Bullok e il suo pulmino bombarolo.
mai provato la coda della domenica rivierasca con un lattante famelico che sta buono solo se l'auto si muove sul sedile di dietro?

tender is de nait...
sabato 31 maggio 2008 14.15
e poi succede che una volta  tuo figlio decide di non svegliarsi tutto urlante nel cuore della notte.
e proprio allora, verso le quattro, tu ti vomiti la cena e l'anima, e il tuo cane c'ha la cagarella.

utilità trasversale
domenica 8 giugno 2008 12.00
formidabile invenzione, quei bavaglini colorati.
e pure i pannolini extra morbidi e super assorbenti, se li sai mettere come si deve.
ma perchè non li fanno anche per  cani?

la vita in celeste
domenica 8 giugno 2008 13.01
la verità?
la biancheria intima da puerpera è la causa scatenante della depressione post parto. le comodissime (= informi) e caste camicette candide di puro cotone e le affidabili pedule da buonsenso (firmato..) a me fan venire le vesciche al cuore vanesio, e non escludo che potrebbero pure provocare la caduta dei capelli nei soggetti predisposti .
il sesso precipita inesorabilmente in fondo alla lista delle priorità dopo una notte di sonno, una doccia, un pasto di tre portate: ti abbracci tantissimo, ma mica per amore, per rubare un pisolino di due minuti.
nel giro di sei mesi dal parto le puerpere e le neo nonne iniziano un inesorabile processo di avvicinamento, inglobanza cannibale e rassomigliazione, alcune oltre alle stesse scarpe e borse, hanno pure la stessa acconciatura!
shopping di stagione, cinema, teatro, lettura e scrittura, depilazione e taglio delle unghie, dieta  e sport vengono crudelmente trascurati, in compenso sei sempre chiusa in casa, agevolmente raggiungibile da un paio di cartelle esattoriali e una raccomandata del facinoroso vicino (giacchè invece quando non c'eri perchè stavi in ospedale dopo il parto t'han visitato i ladri).
per chi avesse il sospetto preoccupato  che ultimamente non ci sia altro che cacca gialla e vomito bianco e peli rossi nella mia vita (e nei miei pochissimi post) rassicuro: c'è pure quel sorriso sdentato, fetente, quello lì che mi frega ogni volta.

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il caffè della vicina
lunedì 7 gennaio 2008 0.00
Qualche fedele tra i miei visitatori, e buona parte delle mie frequentazioni in sempre più carne e oramai anche più ossa, ricorderanno lo sbruffonico vanto cantato di qualche settimana fa che la presente zufolava trallallando di stare a meraviglia.
Orbene.
Con la precisione mannaica del destino, l’anno nuovo ha presentato il suo conticino.
E da qualche giorno, entrata tondeggiante nel terzo trimestre della mia esistenza da gravida, accuso ahimè, umanamente, qualche disturbo regalatomi dal mio danzereccio parassita uterino.
Lo sconforto, e il disagio, di riconoscermi non esente dagli acciacchi della gravidanza, assai poco alleviati dalla consapevolezza - basta farsi un giretto tra i numerosi e coloratissimi siti con forum annessi – di non essere la sola.
Anzi.
Se ti lasci risucchiare dalla piccola folla di gestanti piene di guai che sguazzano in analisi, conteggi, sintomi e patologie strane in rete, finisce pure che ti riconosci addosso delle robe che avevi assolutamente ignorato, o peggio, cominci ad aspettarti ogni genere di calamità da qui al famigerato momento dello “spinga, signora, spinga”
E allora io spingo il tasto esc, do un’occhiata in frigo e un colpetto alla pancia, tanto da rompergli le balle qui all’occupante. Che solitamente si sveglia e mi fa il dito, o mi molla due calci.
Così, vendicatami, mi massaggio lungamente la schiena spezzata con le mani gonfie, che una pervicace sciatalgia che mi costringe a deambulare come una sorta di pinocchio obeso mi sta da giorni punendo con crudeltà alimentando la peggiore delle mie paure: l’immobilità.
Essendo sufficientemente incline al sacrificio, ma in fondo a mio modo affezionata ai prodigi della medicina moderna, in uno slancio di insofferenza ho chiamato dunque il buon dottore baffuto che mi ha in cura per scucirgli un rimedio.
Il verdetto lapidario e crudele: iniezioni.
Che, per una scarsa a freccette come me, significa che oltre al dover psicologicamente preparare la chiappa al trivellamento, ti devi pure cercare il minatore compiacente.
E qui, la fortuna ha aiutato il mio didietro.
In dote col mio adorato appartamento infatti, ho trovato, a suo tempo, una gagliarda vecchina partenopea mia dirimpettaia di pianerottolo che oltre ad aggiornarmi ciclicamente sulle vicissitudini condominiali ed elargirmi sporadicamente squisite mezze pizze fumanti fatte da lei, ricambiate da mie bocce omaggio di sambuca per i suoi pomeriggi con le amiche, mi fa anche tanta compagnia le notti che la sento russare come una segheria trentina dalla sua camera confinante con la mia (non temete, spostai il mio letto dopo la mia prima settimana di occupazione), e – scopro, stupendo, solo ora – sa fare le punture da dio.
Non solo.
Il suo resta ad oggi il caffè colla moka più buono che io abbia mai bevuto, non so se è la miscela o la macchinetta che le vedo caricare con le sue manine un po’ nodose, fedeli ad un rito sempre uguale.
E il suo cestino silverplait con tovaglietta ricamata in sala è pieno di ogni bendiddio!!!
Così, da qualche giorno sono in quotidiano pellegrinaggio, per il rito della siringata, caffè e cioccolatino, vabbè magari due. Che in media dura un’oretta, chiacchierando dei fortunati e più o meno voluminosi deretani trafitti prima di me o la giungla geneologica del quartiere, tra un calendario di padre pio da un lato e la gatta sedicenne appisolata sotto le lancette dell’orologio coi numeri grandi dall’altro.
Mancano ormai un paio di fiale, e in effetti la droga prescritta funziona.
Sulla mia schiena, e però pure un po’ sul cuore.


domestiche metamorfosi
domenica 13 gennaio 2008 23.40
Alla fine l’alberello se n’è tornato in cantina, tutto fasciato nel saccone nero, che se non fosse per qualche indomito rametto che sbuca qua e là dalla plastica, si sarebbe detto che io nasconda ben altro nelle segrete condominiali.
E così la mia sala è ritornata alla sua pigra occupazione, senza più distrarsi con l’occhieggiare di lucine e carillon.
Fino a venerdì, quando è arrivato un nuovo occupante.
Abito la mia tana da quasi dieci anni ormai, padrona di spazi fin troppo comodi per una persona sola e il suo fido quadrupede, lussuosamente abituata ad una stanza per i miei scandalosamente numerosi vestiti, scarpe, piume paillette e falpalà ed un’altra separata per il sonno, dove si smarrisce un letto che ci galleggia dentro per traverso.
Sono arrivati di buon ora, e mi han consegnato alla mia nuova dimensione domestica, i due ometti che per tutto il giorno han martellato, trapanato, segato e montato l’armadio.
Si sono portati via un assegno e un sacco pieno di polistirolo e cartone.
E mi han lasciato a fare i conti coi metri quadri della mia nuova vita.
La mia stanza dei vestiti, che non sarà più mia, mi guarda dallo specchio, improvvisamente vuota, libera, pronta a una nuova vita.
La mia camera da letto, che mi abbraccia più stretta, quando ci metto piede, e mi ricorda che le mie giornate andranno riempiendosi di me, e presto di un altro, e poi un terzo ancora.
Sono smarrita in casa mia, non mi ritrovo, non la riconosco.
Ma basta un temporale il mattino dopo, e un cane spaventato che ci si infila dritto sparato dentro, per farmi tornare il sorriso, quando apro l’anta di un nuovo modo di organizzarmi il futuro

mamme e mummie
lunedì 14 gennaio 2008 15.48
sabato ho seguito con vispo interesse  un programma televisivo sulla mummia del Similaun.
affascinante sto signor Otzi precursore dei nostri ometti impellicciati degli anni settanta..
domenica mi si è bloccata la caldaia, lasciandomi impietosamente senza riscaldamento e acqua calda.
col cavolo che ci arrivavo viva a quarant'anni io  nel  neolitico.
però anzichè sfasciarla con una rudimentale  ascia in bronzo posso ben prenderla a moderne martellate di ferro quella maledetta traditrice.

donne e motori
mercoledì 16 gennaio 2008 23.39
Stamattina la pioggia flagellava democraticamente cristiani e quadrupedi qui nel paese del basilico, quando un solerte benefattore in drammatico anticipo si ingegnava nel mio giardino a non deludere una panzona sull’orlo delle lacrime dopo una treggiorni di vita da inuit di città.
La dannata e traditrice caldaia esterna infatti non può essere smontata sotto la pioggia, pena la rovinosa compromissione della scheda elettronica (cito fedele, a monito di chi avesse la mia stessa idraulica sorte).
Per fortuna le mie doti di femmina lamentosa, per quanto abitualmente ben riposte e soffocate dall’orgoglio, all’abbisogna si dimostrano ancora degne di uno straccio di credibilità.
E l’eroico tecnico ha scelto di cedere alle insistenze della derelitta assiderata e correre il rischio.
Rischio peraltro inutile.
L’infame stava benone.
Semplicemente la qui presente padrona di casa, non essendo in possesso di libretto di istruzioni, non aveva premuto tre giorni prima il tasto di sbloccaggio del comando a distanza, ignara dunque di essere lei medesima la causa del disagio.
Devo aver fatto una faccia tale – alla scoperta.
Il buon uomo ha scosso la testa, e sospirato ridacchiando.
E senza un soldo, tanta pietà e un arrivederci se n’è tornato da dove arrivava.

corsette e corsare
giovedì 17 gennaio 2008 0.25
Con tutto che cerco bellamente di far finta che il tempo ci sia in abbondanza, quello lì continua a scorrere.
Corre veloce sulle righe cartonate del mio calendario, tra visite, scadenze e settimane.
Scivola via la mattina che ci metto omai un eternità a prepararmi ad uscire.
Trotterella avanti e poi torna spazientito a vedere dove mi sono persa quando vado a spasso col cagnetto.
Galleggia a pancia in su spruzzando come una foca e mi si infila sotto la cuffia in piscina, che poi mi tocca ogni giorno asciugare tutto, e così ne perdo un altro po’.
Si consuma come la carta igienica, avanti e indietro da quel bagno ad ogni starnuto o risolino o qualche fotocopia.
E si accoccola pigramente le sere, tra le pagine di un libro e qualche insulto al buonsenso televisivo.
Il lusso più grande di questo strano momento è la mia liberazione volontaria e sfacciata dai vincoli delle lancette. Semplicemente le guardo e sospiro un oh-beh da un mondo tutto mio, di ovattato surplus ormonale o scellerato menefreghismo, chissà.
Oggi però il tempo ha richiamato la mia attenzione salutandomi e chiedendomi il mio nome, con  quattordici occhi fissi e sette pance più sporgenti delle mie (e solo un paio di culi però ahimè) quando ho incontrato per la prima volta lo sparuto branco di femmine caracollanti, e il loro corredo di ombrelli colorati e fradici, davanti alla piccola palestra vicino casa dove  frequenterò il corso di preparazione al parto.
Tempo di cominciare a fare sul serio, e tempo di rispettare un orario.
Un bel respiro del ce la puoi fare e un passo più svelto, e vualà.
Per fortuna e decenza non ero l’ultima, data la mia scandalosa vicinanza domiciliare, che certe poverette mi pare provengano dall’altra parte della città.
E qualcuna infatti è arrivata più tardi di me.  E prima di lei, l’ostetrica, un dolcissimo stecco di donna.
Totale nove future mamme: una gamma di forme di ansia, di lordosi gestazionale e di amore che inevitabilmente hanno avuto l’effetto trip della spesa sul nastro trasportatore del supermercato sulla mia mente malata.
Non so voi, ma io ci passerei le ore a spiare la spesa della gente, solo per immaginare di capire come vive.
Ecco, figuriamoci nove gravide.
La perfezionista, la stra-coccolata, la lamentosa, la sapiente (già passata), la ragazza del sud, la giovanissima,  la forse muta, la mangiona (una,  che l’altra sono io).
Le corsare a cui vedrò i calzini colorati una volta la settimana, per altri sette incontri.
E forse sarà meglio che io non mi metta più quelli con le foglioline di marja, che sì che stanno bene coi miei mimetici, ma rischio davvero di sembrare più sciroccata di quello che sono, ancora prima di spiegare che la fede al dito non ce l’ho per scelta, mica per la ritenzione idrica..

droga & denaro
domenica 20 gennaio 2008 18.05
e passi per gli ex tossici della raccolta firme (e offerta) davanti al supermercato del mio ineccepibile quartierello che m'han apostrofato "signorina", ma pure la sussiegosa commessa dell'inavvicinabile negozio del centro (in saldi) ieri ha salutato la mia carta di credito anzichè la mia evidente panzona?

madri scellerate
domenica 24 febbraio 2008 19.04
secondo voi è pedopornografia sbirciare sotto il pannolino per vedere se c'è tutto?

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the others
lunedì 24 dicembre 2007 0.13
Man mano che la concentrazione ormonale nel mio sangue mi arrotonda la forma, mi accorgo con orrore di quanto allo stesso tempo però mi si drizzi la schiena: il mio senso del dovere vacilla, sotto il peso del pancione, e la carica di pigro egoismo che mi pervade mi spinge a fare cose per me impensabili un tempo.
Cioè, tolto il dormire, dire cattiverie e il procacciarmi cibo.
Prendendomi una scandalosa settimana di ferie a dicembre per esempio.
E lasciare l’ufficio al suo destino delirante per scapparmene in montagna a trovare il mio ganzo, con il mio cane fido e grato, l’immancabile scorta di vitamine e un paio di libri a seguito.
E così far conoscenza della famigliola, l’altra, che della bomba bebè è venuta a sapere solo da un mese.
Sarà la distanza e il fatto che non mi conoscono affatto, ho trovato un’accoglienza cordiale e affettuosa  lassù nel paesello, in una baita vera di pietra ruvida  e legno scricchiolante,di quelle con pentole di rame vere appese ai chiodacci e un comodo divano di fronte a un immenso camino vero.
La futura nonna è un'esile signora bionda e vivace, ci separano 13 anni appena, che non ha mai montato un paio di catene, che si preoccupa che io mangi abbastanza, che questo nipotino lo vedrà troppo poco accidenti e che i suoi due cani non attentino al divano quando lei è al lavoro.
Osservo con curiosità la vita di una famiglia normale, con i figli che pranzano assieme punzecchiandosi sulle spartizioni di faccende domestiche e incombenze non sbrigate, vivamente grata al regalo di poter arrivare sedermi a tavola e apprezzare ciò che qualcun'altra ha fatto al mio posto, visto che nel mio appartamento da single è scontato che il contenuto del mio frigo e del mio piatto dipendano esclusivamente dalla mia lungimiranza e voglia di spignattare.
La sorellina, grazioso scricciolo bruno dalla lingua peperina e mani o punta del piede in perenne movimento, tormenta il mio compagno, che di buon grado la lascia fare. Non mi è del tutto chiaro se per sua indole o per l’occasione.
Una sera mi passa a prendere e andiamo a cena assieme noi ragazze, con la sua amica del cuore, e mi ritrovo a sentir parlare dei regali di natale decisamente costosi dell’età in cui si quantifica il sentimento per edotti fidanzatini altrettanto munifici,  residenti nelle valli accanto o città lontane, con una familiarità per la distanza che spiega forse l’accanimento con cui il mio giovane futuro papà non si sia mai scoraggiato per un paio d’ore di guida.
Il suo di padre è un uomo pensieroso, e forse è per questo che mi piace di più.
Ci guarda con educata dolcezza e ci chiede come stiamo, come pensiamo di fare quello che stiamo per fare e quanto ci costerà, in termini di sacrifici e ricompense.
Nel mezzo di tutto ci siamo noi due, che ci conosciamo poco, che ci siamo trovati in qualcosa di prevedibile ma non evitato, per irresponsabile nostra incoscienza, per caso, per destino, qualcosa di forse troppo grande.
Ho paura per la prima volta.
Paura di ferire qualcuno, ancora.
Non mi ha finora spaventato l’idea di diventare mamma, ma i legami con questi adulti mi mettono in difficoltà, il senso di ciò che ritengo sia giusto nei loro confronti mi pesa, mi affanna. Sono troppo severa con me stessa adesso, o troppo indulgente fin ad oggi?
Osservo il profilo bianco della spalla del mio giovane compagno addormentato, il sole che accende il cielo dietro la montagna e forza il verde della sottile tenda gioca con un ricciolo scuro sul suo collo, a cornice del morbido rosa di un lobo finora paziente e gentile.
Il ritmico coro di un cane che russa e un ragazzo che respira profondamente.
Il sibilo dell’acqua che ho appena tirato in bagno.
Quanto potrò essere spietata, se non riuscirò ad amarti,..

il regalo perfetto
mercoledì 26 dicembre 2007 23.59
il regalo perfetto non esiste, o forse è solo un mio concetto,
perchè e troppo grande per essere comprato e non è un oggetto.
dura per sempre e quindi non si vende, non è commerciale,
non ha scadenza e non si trova a rate, o a prezzo speciale,
ed è mille volte meglio se è una sorpresa che non ti aspetti
se non è la risposta svelata di suggerimenti, taglie e sospetti
può essere anzi che manco gli abbiano messo la carta intorno
e te lo trovi tra le mani posando semplice un sguardo in soggiorno
dove c’è un futuro nonno che confabula col tuo cane a pancia piena
e dietro sua moglie che sospira e ridacchia pensando alla dieta che gli tocca a cena
o all’esercizio di fitness previsto per lui in primavera ai giardinetti
col guinzaglio, il passeggino, giornale e gli altri vispi nonnetti.
Oppure puoi trovarlo in cucina, illuminato dal tuo frigo dalla porta aperta,
con davanti tuo fratello che finalmente ha mollato divano, digestione e coperta.
È l’sms da lontano che ti pensa, dalla pausa siga del suo lavoro sui monti,
per sfamare i turisti assatanati e ingrassare un po’ i conti.
Se respiri a fondo ne senti il profumo d’inverno frizzantino
A spasso nel silenzioso parco col tuo danzatore in pancia e il tuo cagnino,
per poi scovarne altri cento nella pace di casa a posto al tuo ritorno,
invece di tutti quei pacchetti sotto l’albero ormai disadorno.
Sono gli avanzi dei sorrisi dei baci degli abbracci degli auguri
che restano sospesi nell’aria della festa per i giorni futuri.
Uno quest’anno poi mi è rimasto incastrato nel cuore,
per chi me lo manda, è di una amica, o meglio un suo genitore,
una mamma che di sicuro ha ben altri guai, altri pensieri,
ma che lo stesso ha provato bontà sua a far dei ricami seri.
Di seriamente riuscita c’è stata la nostra bonaria risata,
perché per il punto croce forse forse la sciura non è portata,
ma quando penso al pokemon celeste che voleva essere un orsetto
mi è ancor più caro quel corredino da principe del bagnetto.
Che a far qualcosa provando apposta, che magari non ci viene una delizia,
ci vuole un cuore molto più grande che a sfoggiar la propria perizia.
Eppoi vuoi mettere l’esclusiva di un sorriso che ogni volta mi sfuggirà sincero,
non esiste sarto né prezzo o moda a confronto, ecco il regalo perfetto davvero!

son tutte belle le mamme del mondo...
domenica 30 dicembre 2007 0.15
E vabbè.
Allora si avvicina il momento di lasciar perdere.
Che poi non è così vicino, mancano un paio di mesi, ma da qualche settimana ho capito che non posso fare tutto, che il solo pensiero di fare mi manda un po’ in affanno, e allora schivo.
E quindi mio malgrado dovrò mollare qualcosa.
Ascolto con orrore l’amica che declama le gioie della nullafacenza da gestante.
Lei – dipendente statale – s’è fatta nove mesi a passeggiare dal divano ai centri commerciali, tonda come un bignè, coccolata dal marito fiero della sua assicurazione medica omnicomprensiva, in ambasce per la mancata disponibilità della puericultrice prescelta per i giorni necessari al suo riposo post parto cesareo programmato.
E non sa se tornerà a lavorare.
O forse sì, giusto il tempo di mettere in cantiere il secondo.
E stare a casa almeno altri 18 mesi.
Mmh.
Forse ci risiamo con gli ormoni slaccia lingua.
Mi pare però tante signore ci marcino con sta storia del diventare mamme.
Come se la condizione di gravida e  poi di madre consenta, autorizzi a reclamare, rivendicare, una sorta di rivincita, tra il fancazzismo e la prepotenza legalizzata.
Personalmente continuo a farmi le mie belle code in cassa, e a portare la cintura di sicurezza.
Da libero professionista però non posso non osservare con severità certe femmine della nostra specie.
E qui probabilmente mi becco qualche vaffa, ma sono stata la prima a promuovere l’assunzione di un ragazzo in questi giorni, che si giocherà nei cinque mesi di mia latitanza forzata l’eventuale posto a tempo indeterminato.
Avessero l’onestà di ammettere con se stesse e con gli altri che la maternità è la loro vocazione, che il femminismo gli è andato bene fino a che non hanno dovuto passare dalla seconda alla quarta di reggiseno.
Avessero fugacemente mostrato più rispetto nei confronti dei colleghi che si troveranno più lavoro da smazzare, visto che il sostituto andrà comunque seguito, e dell’azienda che su di loro ha investito tempo e risorse che le vedrà tornare chissà quando cariche di virus e appuntamenti dal pediatra.
Facile forse per me parlare adesso, lavoro nella ditta di famiglia da quando ho 18 anni: una seconda casa, una cura per i miei cuori spezzati, per rafforzare l’autostima, controllare la linea e il conto corrente. Probabilmente ci morirò attaccata alla mia scrivania coi fascicoli in ordine sparso e i post-it coi circolini marroni del caffè e le incazzature quotidiane.
Se già per me l’argomento era controverso prima, avendo da ventenne sostituito pari pari una dipendente in congedo di maternità,  mantenendo i miei incarichi e pure lo stipendio (seppure guadagnandoci in termini di esperienza), da gravida divento particolarmente spietata, che diamine, per orgoglio di categoria. Fermo restando che indietro non si può tornare, credo che la parità femminile andrebbe conquistata anche con un po’ di buona volontà, non a suon di leggi paternalistiche.
E invece scopro che certe disuguaglianze vengono addirittura alimentate dal nostro sistema: ma perché invece di mantenerle a casa due anni ste mamme, non incrementare adeguatamente strutture pubbliche o sovvenzionarne di private permettendo loro di tornare serenamente nel mondo degli adulti produttivi prima che il cervello vada in pappa di semolino e pampers?
essima che tirava le cuciture alline)
Certo di base ci sta che l’impiegata media non è motivata come una dirigente, che ognuna ha il suo carattere e le sue priorità nella vita. Liberissime. Liberissime di prendersela con chi poi a parità di stipendio preferisce impiegare un uomo…
Il futuro zio inorridito mi guarda come se fossi un orco rosa e si offre di prendere lui il congedo per accudire il nipotino, che crescono in fretta quei cosi lì, anzi a due anni pensava di prendergli una ferrari a pedali, o meglio una jeep?
Il capo, futuro nonno, propone diplomaticamente una culla dietro la scrivania già al terzo mese di vita, vicino alla cuccia del primogenito peloso, sicuramente mira alla catechizzazione precoce di un possibile erede per l’impero. (Papà rassegnati, probabilmente da grande vorrà fare la rockstar… )
Occhei – io sono una superfortunata – dovrei alzare le spalle, mordermi la lingua  e cercare di spassarmela.
Ma porca vacca: dove mi appoggio mi addormento, ho sviluppato un malsano attaccamento al velluto del mio divano, ho urgente e disperato bisogno di una pedicure decente, uno specchio magico che mi levi due taglie e non mi trovo più tanto a mio agio in locali affollati – ma mi ostino a non voler essere considerata una bambolona di cristallo o, peggio, una prossima latteria ambulante.
Essì, dici così ma poi vedrai..
Mah.
E allora controvoglia comincio a delegare.
A prendermi più tempo per fare tutto – coi cinque minuti buoni per ogni scarpa allacciata, comprese le pause per riprendere fiato tra un calzino infilato e l’altro, e i 60 gradoni fino a casa col fido canetto che torna a cercarmi tre o quattro volte per capire dove diavolo sono finita.
Ad accettare che qualcun’altra faccia i lavori domestici al mio posto, a fare la spesa con consegna a domicilio, e a cercarmi un buon dog sitter e tanta nostalgia per le mie scarpe col tacco.
A lasciare dettagliati schemini esplicativi sulle pratiche in ufficio perché, oltre al fatto che sia fatto il mio lavoro in mia assenza, gradirei fosse fatto bene.
E in questo ambito alla fine ho deciso di assegnare ad uno studio esterno il compito di vigilare sulla sicurezza della mia azienda, ma questa è un’altra delirante storia.

cattive influenze
mercoledì 2 gennaio 2008 17.20
avete mai fissato il fondo caleidoscopico del water finchè gli occhi non spariscono ingoiati dalle palpebre gonfie?
dove han fallito gli ormoni, han trionfato i virus mannaggia....


a piedi gonfi nel parco
venerdì 4 gennaio 2008 0.07
Invece di crogiolarsi nel dissoluto abbandono al virus influenzale e concomitante sciatalgia da velleità di gravidanze da tardona, un paio d’occhi marroni e un tartufo insistente nel mezzo convinsero ieri mrs Hyde a sospendere la meritata recita della sua lagna inascoltata dal divano per trascinarsi, guinzaglio alla mano e baldanza da bradipo, alla perlustrazione delle puzze sparse nel solito quartierello semi abbandonato nella festività.
Chi sceglie un cane come amico, se lo sceglie anche sotto la pioggia di gennaio e con l’influenza.
Chi come me se lo trova pure un po’ carogna igienista, se lo becca di quelli che non sporcano in giardino, ti spiano dalla porta del bagno con la crapa inclinata mentre abbracci in ginocchio la tazza in convulsa e lacrimevole personale imitazione di “Riposseduta”, scostandosi un poco quando barcolli semiaccecata dallo sforzo e dai virus e come un pipistrello rosa sovrappeso riguadagni quello che pensi sia una postura dignitosa.
Singolari nella loro sensibilità, questi fedeli compagni ti concedono un abbondante quarto d’ora di tempo per abbandonarti al compiacimento del delirio febbrile, prima di intimarti a ricomporti, te e il tuo schifoso fazzoletto alla mano e inarticolati mugolii nasali.
Sbuffando si scuotono, si avvicinano al tuo giaciglio, annusano il semivivo e lo rianimano con una leccata fetida che solo il cuore di un padrone può apprezzare.
A quel punto non puoi che rotolare su un fianco, coprirti con tutto il contenuto dell’armadio che ancora ti entra e, smoccolando come un carrettiere che sognava un criceto invece di un setter, tirarti dietro porta, paletta e cane.
In realtà l’aria fresca della sera è un toccasana per il garbuglio di recriminazioni, vittismo e germi che cova il cinofilo influenzato, e infatti abitualmente dopo i primi cinque minuti finisco coll’apprezzare il forzato vagabondaggio, pentendomi come una ladra di aver accarezzato pocanzi il progetto di un vile scambio con un autistico roditore da rotella, incolpando gli eccipienti delle pastiglie di paracetomolo, che oggigiorno non sai mica cosa ci mettono dentro.
E poi magari ti capita come ieri appunto di trovare il cancello nordovest del parco ancora aperto alle sei, ti ci infili beandoti di vederlo trotterellare libero e spensierato, lo spietato quadrupede riabilitato, sotto la pioggerellina nebbiosa che scintilla attorno ai lampioni quel tanto da farlo contento scampandoti un po’ di strattoni al braccio, e sganciato il moschettone al giaguaro, ficchi le mani intasca e fischiettando ti incammini al seguito smarrita in una bolla senza tempo.
Una bolla senza tempo, ma pure senza suoni, cavolo.
L’abitudine del custode ordinario di chiudere il cancello sud-est per ultimo, e pure dopo aver fischiato come un'aragosta in pentola evidentemente non è congeniale al suo sostituto.
Arrivati al cancello d’uscita l’abbiam trovato chiuso.
Pochi rimedi si dimostrano efficaci come un bello spavento, ve lo posso assicurare.
E il pensiero di trascorrere la notte chiusa nel parco fa miracoli per la sciatalgia.
Scatto da velocista al cancello al varco di nordest, chiuso anche quello.
A quel punto persino i neuroni erano completamente vispi, e pure la lingua a dirla tutta.
Senza grandi speranze, col fido compagno allarmato ma inconsapevole al mio fianco, siam tornati sui nostri passi, all’ingresso, rassegnati ormai a dover confidare nel buon cuore di qualche passante che ci potesse aiutare ad uscire dalla nostra verdeggiante galera a cielo aperto in quella sera di tempo da cani e senza telefonino.
Impossibile per me tonda come una mortadella riuscire a scavalcare i cancelli. E poi giammai avrei abbandonato il mio compare al destino di randagio di una notte.
Porca vacca.che guaio.
Fortunata (..) sorpresa! il buon custode (boia, carceriere?) dal polmone pigro, di contro deve aver avuto il timpano solerte, immaginando così che potesse esserci ancora qualcuno a spasso tra le aiuole.
E probabilmente per questo mi ha guardato un po’ strano, quando grata l’ho salutato, che una placida gravida col suo cagnetto snob chi mai l’avrebbe detto potesse produrre simili irripetibili improperi e insulti da angiporto complice la clandestinità dei cespugli?


...3....2....1!
sabato 5 gennaio 2008 14.27
Il mio orologio perde cinque minuti ogni due giorni.
E il datario si incanta al 21 di ogni mese.
Me lo regalai in una gioielleria natalizia del centro, alla fine di un anno meritevole, scegliendo un modello “boy” dal quadrante chiaro, l’acciaio lisciato dal precedente rude proprietario.
Mi piacciono gli oggetti con una storia.
Mi piace pensare che ognuno abbia il proprio percorso.
Non mi disturba sapere che nulla è per sempre, aumenta la mia consapevolezza del presente, e arricchisce il mio passato.
Potrei perderlo, potrebbero rubarmelo, potrebbe definitivamente fermarsi.
O potrei regalarlo, un giorno.
Ed essere felice di averlo potuto fare.
Ma per ora è al mio polso.
Una trentina di persone festanti intorno, gioviale confusione, cicaleccio di femmine fidanzate, tacchi e lustrini, raso e paillettes, sfoggio di bicipiti e camice discretamente fuori dai calzoni, boati alcolico-riderecci e sguardi assassini direttamente proporzionali al tempo trascorso dall’ultima copula, vassoi di cibo di ogni forma e colore, bicchieri e bottiglie sparse per l’appartamento del nostro ospite, trasformata nel giro di un anno da scannatoio di buon gusto a ricercata ed accogliente casa borghese dall’occhio e dal cuore di una bellissima forestiera piena di “s”.
Così ci è passato attraverso un altro anno.
Un pensiero ai caduti del virus stagionale o del cuore innamorato che mancano all’appello, una rassegna del chi, cosa e perché è successo negli ultimi dodici mesi.
Sono sempre più belle le mie femmine, quelle che non hanno smesso di fumare, quelle sempre a dieta, quelle ancora single, quelle convalescenti e quelle sbronze.
Sono grata al buon senso dei miei anni, per aver smesso da tempo la rincorsa del festino obnubilante e mondano. Un buon inizio lo trascorro con chi posso tra gli amici cari, quelli coi quali ho passato un anno da ricordare e coi quali mi appresto a viverne uno decisivo.
Intanto io spio, dalla lucida trasformazione in atto su di me, mezzo bicchiere di bolle in mano, terza fetta (microscopica) di panettone e un po’ di mal di schiena per quattro dispettosi cm di tacco (o forse sono i miei soliti +10 kg, pure scalcianti).
Un augurio sincero a tutte, ovviamente in ritardo, che la voglia di essere come siete non vi manchi mai.

1....9...4....!!!!
domenica 6 gennaio 2008 22.11
E allora parliamone.
In fondo c’abbiamo tutti e due gli occhi celesti e adesso pure la panza.
D’accordo, a me la barba cresce solo sulle tibie, e di rossiccio c’ho giusto il cane.
Ma senti Giuliano caro, sta moratoria che ti tiri fuori così sotto l’albero mi sa un po’ di riciclo tardivo, che a turno ci han già rifilato in tanti, e guarda, sarà mica un caso che lo fanno soprattutto i politicanti maschi, tanto da far un po’ di baccano, quando ci sarebbe roba ben più urgente da sistemare?
Vorrei vedere te.
Vorrei vederti ragazzina, che ti fidi perché quando sei innamorata a quell’età non pensi che niente potrà andare storto o che non vuoi ingrassare. E la paghetta ti serve per le siga e la ricarica, la benzina per il motorino e la maglietta figa. E quello che sai di come si resta incinta te l’han detto le amiche, perché magari vai a scuola dalle suore e lì di contraccezione guai a parlarne seriamente con qualcuno di preparato, e ci si finge sapienti e fortunate e Bratz.
Oppure vorrei vederti quando il tuo compagno, che ti diceva di non preoccuparti che ci pensava lui, si è dimenticato poi di comprarli i preservativi, e che ora che ci pensa davvero non se la sente proprio, che gli dispiace tanto, ma sai, davvero è un impegno troppo grande, anzi forse è meglio se vi lasciate, da amici, eh.
O ancora, vorrei vederti se le tue analisi del sangue dicessero che tu la pillola non la puoi proprio prendere, perché ora le fanno leggere leggere, ma c’è sempre un margine di rischio, e passi la ritenzione idrica e gli ormoni che ingoi ogni sera, ma una trombosi può sempre capitarti dopo i 35 alla sesta sigaretta.
O ancora, il mutuo, il marito disoccupato, i genitori anziani e ammalati, i quattro figli che già hai, e il prezzo degli asparagi.
O semplicemente, la carriera che hai scelto di mettere davanti a tutto, perché coerente con la pubblicità dell’ora di cena anche se non sei un uomo.
Adesso rispondimi, in tutta sincerità.
Viviamo in un mondo dove è comunemente accettato vedere donne seminude, uomini oggetto e il perseguimento a tutti i costi di una vita di appagamento. Il sesso è stato ormai affrancato dalla procreazione nella testa di buona parte degli italiani, che tanto a messa non ci vanno, se non a Natale, magari se trovano una chiesa alle Maldive.
Perché, quindi, la 194 torna ciclicamente a tormentare i nostri telegiornali?
Posto che credo che il problema principale – a monte – sia l’ignoranza, perché non lavorare sulla prevenzione anziché negare la possibilità di una scelta a chi si trova ad affrontare una gravidanza non voluta, perché non ficcare a forza e gratuitamente in testa o in tasca quali sono le possibilità, invece di sindacare sulla gestione delle conseguenze?
Nonostante tanto sbandierare di libertà, temo che non siamo affatto pronti ad amministrarla responsabilmente, e siccome nella maggior parte dei casi il rifiuto di una maternità avviene proprio per non rinunciare alla propria indipendenza personale forse il fatto che a criticare la legge siano più spesso gli uomini (di chiesa e non) non è casuale, visto che sono ancora le donne in Italia a farsi carico maggiormente in termini di tempo, dedizione e cure alla prole.
La vituperata 194 prevede che i Consultori forniscano assistenza alle donne, o coppie, in stato di necessità. Ma quando la necessità si presenta è perché probabilmente la frittata è già fatta, perché catto-italicamente ci si è premurati solo di dire che non si fa, pur sapendo che invece lo fanno tutti, anzi chi non lo fa in fondo è un po’ uno sfigato.
Ma così si cura, forse, ma non si guarisce mica.
E nello specifico caso di chi volesse optare per una soluzione terapeutica, certe indagini cliniche non possono essere effettuate prima di determinate scadenze, dopodichè come puoi arrogarti di imporre ad un possibile genitore di scegliere nel giro di qualche giorno di allevare o meno un figlio svantaggiato in un mondo come il nostro, senza strutture, senza le sovvenzioni e ma con  tanta cultura della perfezione fisica, del vincente a tutti i costi e dell’ “io” prima di tutto?
Perché invece di preoccuparsi di mettere a questo mondo futuri cittadini non voluti, destinati magari a finire accoppati da un mestolo di rame o un tacco a spillo o anche solo abbandonati davanti alla play o a youtube non studiare un vaccino che finalmente debelli le ultime sacche del virus del rispetto per l’essere umano – non quello nascituro, ma quello già nato, tassato, drogato di consumismo e violentato quotidianamente dagli esempi della nostra classe politica e televisiva? Secondo me non ci vuole poi tanto, e vivremmo tutti dissoluti e imperturbabilmente contenti…
Le famiglie superstiti dei disadattati che circondano il tuo nuovo amico porporino, caro mio,  già vivono una realtà basata su una moralità emarginata, bontà loro, magari non hanno manco la tv, ma il resto del genere umano non è disciplinato per natura,  e se non sceglie di esserlo, tu penserai mica che basti modificare una legge che regola le conseguenze per poter risolvere il problema?
Così come non puoi davvero pensare che la scelta di interrompere una gravidanza non sia priva di dolore per chi la affronta, un dramma personale e specifico, di impotenza, solitudine e – anche per le più incallite recidive – di inequivocabile fallimento. E non parlo dello scudetto mancato della squadra del cuore, ma di qualcosa che ti segna nella tua essenza di animale femmina, sia che succeda a 18 che a 45 anni.
Secondo me l’auditel ti ha dato alla testa, e noi siamo solo la generica metà più gentile di un pubblico che cerchi di incantare o far incazzare.
Allora, lascia stare la 194, e studiane piuttosto un prequel efficace. Ma una roba che coinvolga tutti, tutto il nostro paese di Mamme che ce n'è una sola, ma anche di Papà che abbiano testa, oltre che palle, che sappiano quello che fanno, e che lo insegnino ai loro eventuali figli.
E poi, scusa, ma tu, quanti bambini hai?

archivio


alex & lupis in fabula
giovedì 8 novembre 2007 23.18
C’era una sorpresa in serbo nel pomeriggio di martedì.
Una promessa grata spifferata in risposta ad un invito in tempo non sospetto, che scivolando inesorabile lo scorrere delle pagine si  ripresentava in calendario, e nel punto di domanda degli occhi del secondo invitato.
Che si fa, andiamo allora stasera?
Ma non ho niente da mettermi, mi sta tutto stretto!
Ma fregatene, dai, ci vediamo alle seiemmezza e partiamo.
E così ci si metteva in strada alla volta di milano, con una scarna sacca di pigiamino, dentifricio e cambio per l’indomani, fasciata di nero necessario, santo il signor Dupont, e tacco quel tanto che basta per non arrendersi.
E bene assai si fece.
Una sosta per cena a luce di neon all’autogrill, e la scoperta di una ricompensa sfacciatamente lussuosa nascosta in viuzza meneghina trovata al secondo tentativo per noi fratelli di riviera, pirati e bottegai.
Presentazione del Calendario 2008 Campari.
Albergo scandalosamente fico, dal design modernissimo e, giochi di tende e illuminazione malandrine, trionfo di saponette sciampetti e ciabattine in tinta con l’etichetta arancione della freschissima bottiglia che ci siamo sentiti fosse una buona idea liberare dal minibar per festeggiare il nostro arrivo a destino squittendo come topini impazziti.
Rinfrancati e riderecci abbiamo quindi raggiunto il resto della comitiva per goderci il resto della serata e il favoloso evento.
Scatole e piume e tulle e zampilli e lampi di luce e  sfondi rosseggianti, nel mezzo serpeggiano sbalorditi e snob, di chi torna bambino e chi si sente un grande.
Ogni scatola una fiaba, maliziosamente riedita e manipolata, una trappola per il gusto degli adulti, e accanto smilzi tavoli per la gioia a tema del palato.
Il mio compagno bevve e io masticai, per tutta la serata fino alla mezzanotte e un quarto quando la divina Eva (Mendez) in carne ed ossa, circondata dalle gigantografie delle sue foto per le grazie del calendario fermarono le bocche dei presenti in un ammirato silenzio di una sensuale Bella Addormentata, un Pollicino, una Piccola Fiammiferaia, un Aladino, una Sirenetta, un Pinocchio o pure un Cappuccetto Rosso.
Sfumato lo spettacolo si restò a fare onore alla festa fino a che i nostri stomaci e piedi non chiesero pietà trascinandoci quindi col nostro bottino di cartellette scure sottobraccio verso il  secondo paradiso fatato per la notte, la nostra scintillante cameretta poco lontano, a combattere con l’emozione di quel che avavamo visto e vissuto e il molesto condizionatore (domato infine).


faide femminili e futura faina
martedì 13 novembre 2007 23.32
La vendetta filiale finalmente ha colpito.
E senza premeditazione alcuna: dipingendo casualmente sbigottimento e competizione sul volto della futura nonnetta british (mia madre), alla notizia che la sua alter ego d’altaquota è solo da poco anch’essa edotta, ma assai felice e desiderosa di conoscere il nome prescelto poiché già alacremente in operoso subbuglio di ricami celesti e corredino frufrù.
Averlo saputo prima quale prodigioso effetto prosciugatore avrebbe sortito il gentile interessamento della signora piemontese nei miei confronti sulla pioggia di critiche e ritornelli disfattisti che mi flagella da mesi, improvvisamente  sostituito da affettuosi consigli e tutine gialle (nascoste da chissà quanto)  non mi sarei presa la briga di spremermi diplomaticamente fegato e cervello per trovare un accordo soddisfacente col mio giovane teneramente cocciuto papà.
Anche Pantaleo, Oronzio o Gioberto mi sarebbero andati benissimo alla prima, pur di guadagnare settimane di pace.
Invece così sarà un piccolo Edoardo.
E pure scandalosamente elegante ancora prima di metter il naso fuori.


palinsesto pernicioso
lunedì 19 novembre 2007 18.32
lo sapevo che dovevo sorbirmi la figliola in crinoline del settecento e dialoghi dell'età della pietra ieri sera, e che siccome non siamo a milano far finta che tanto non mi importi che si stiano infilando anche sotto il nostro piccolo parco di quartiere per cavarci un altro posteggio.
e invece no.
ogni volta che ci casco e guardo report resto incazzata due giorni.

la luna e il paltò
mercoledì 28 novembre 2007 9.28
domenica verso la sera dell'astigiano c'era una luna grassissima che tirava le cuciture delle nuvole sui bordi dell'autostrada.
sarà mica incinta pure lei, di tutti i sogni di bambini?

cucù
mercoledì 5 dicembre 2007 22.43
sto bene.
sto rotolando nel benessere.
sto talmente sfacciatamente bene che non mi si vede, non mi si sente e non mi si legge perchè mi sto sul cazzo da sola.
sul serio: voi cosa direste a una che ha preso dieci chili e se ne sbatte, che il ganzetto la chiama a tutte le ore per sapere come va, che i colleghi le levano le rogne dalla scrivania, e che tutti gli altri la vogliono sbaciucchiare le sorridono e le toccano la pancia?
visto?
lo sapevo: sto sul cazzo anche a voi! ;-D

gravidity
mercoledì 5 dicembre 2007 23.28
hey, sono ovunque: una persecuzione di panzute ripiene!
..adesso pure da gerriscotti.
chissà se pure loro hanno preso la sfacciata abitudine di dire tutto quello passa per la testa,  con una punta di maliziosa cattiveria e poi una scandalosa ridarella!

palazzi, giullari e principesse
domenica 16 dicembre 2007 22.27
Il primo giorno di dicembre arrivò più per appetiti che per tempo, che quella busta rigidina color avorio (di zanna?) morsicava la coscienza perbene di mrs Hyde e pure i vanitosi slanci spenderecci di miss Jekill da quasi un mese ormai, tutte le mattine posata tra le chiavi e le bollette, gentilmente spostata ogni lunedì dal solerte straccetto mangia polvere della mia signora delle pulizie e da me riposizionata la sera con sorriso da controllore soddisfatto assieme al resto dei tesori sparsi per casa, secondo l’invisibile schema che ogni malato di mente si compiace di definire perfettamente a posto.
Un matrimonio invernale era l’appuntamento al quale mi si invitava, assieme a una buona fetta della cittadina società abbiente – a me del tutto sconosciuta – e una ristretta e ben più cara divertente falange sciccosa delle “sisters”: il mio principe Lupiz, il caro Biscia Gaia, Madonna Mammolah ed io formavamo il bizzarro quartetto doppia coppia tanto più impeccabili nell’apparenza quanto inverosimili nella sostanza...
Personalmente trovo i matrimoni in generale una sorta di calamità stagionale, ci sono anni fausti che scorrono lisci e annate nefaste in cui magari te ne toccano tre. A parte quelli, oramai sempre più rari, di cari amici che un bel giorno decidono di sperperare una piccola fortuna in confetti e cartoncini, che son ottimi pretesti per noialtri ciniconi per gozzovigliare a sbafo prendendosi pure affettuosamente gioco dei colombi sposini e un bell’alkaseltzer il mattino dopo, la maggior parte dei casi si riduce al disperato tentativo di finire a un tavolo decente per qualche ora, augurandosi perlomeno che le scarpe nuove (unico ottimo pretestuoso effetto collaterale) reggano con grazia il collaudo.
Questo giro l’occasione era doppiamente favorevole però, se non addirittura quattro o cinque volte.
Vuoi perché il totale degli invitati di mia conoscenza era in numero perfetto per riempire giusto un po’ stretti un tavolo completo, vuoi perché chi in realtà ci aveva assolutamente voluti riunire lì non era la sposa, bellissima e dolcissima – anche in queste sue seconde nozze, ma il di lei irresistibile fratello Weryrrico, rampollo gaio dalla sfrenata simpatia e autoironico snobismo, sicché l’intera situazione sembrava più una cena tra amici ambientata in un favoloso maniero anziché la solita pizzeria (per quanto di classe).
Miss Jekill aveva dovuto faticare parecchio in realtà a rassegnarsi al rigoroso conto della massaia, per far quadrare un regalo adeguatamente ricco e le sopraggiunte rotondità della sua 23° settimana di gravidanza, rinunciando ahimè per una volta a un paio di scarpe nuove.
Per quanto l’immagine di una pancetta ben tonda ma ancora assai gestibile le procuri spesso sorrisi benevoli, lo specchio riesce comunque a far brutti scherzi quando si tratta di impegnarsi a fin di mondana eleganza. O forse più ancora del riflesso di dolce resa a una nuova vita,  mi molesta il ricordo vanesio di docili cerniere sottomesse, chissà, son ben strane le femmine.
Comunque quel sabato dicembrino, in rigoroso aplomb di calzone scuro premaman e sensato scarpino di camoscio griffato, camiciola infiocchettata di seta grigiocelestina, parure di perle riesumate dei tempi perbene protetta da capottino in tinta deliziato di ghirigori in jais – azzeccatissimo furto temporaneo perpetrato alla generosa Miriam -  irrimediabilmente accostato a maliardo guanto lungo in pelle e volpe color nebbia al collo, la nostra posteggiava a una distanza dalla designata chiesuola arroccata sul mare - un tempo custode di bisbigli di umili pescatori senza denti oggidì gremita di preghiere di ricconi – una distanza dicevo degna delle migliori maratonete nazionali: ottima per ripassare a mente tutto il suo repertorio di improperi da portuale, ma ancora ridicolmente ininfluente a bilanciare l’eventuale supplemento calorico previsto per di lì a poco.
Sul sagrato il cielo prometteva qualche democratica goccia, e intanto si divertiva a stropicciare la piccola folla di sottane e acconciature alle tante dame mingherline sbaciucchianti che solo il peso dei loro diamanti tratteneva dal volare via, i rispettivi cavalieri impeccabili nella festa abbottonavano il giusto numero di asole a giacche e capotti approcciandosi con eroico sfoggio di noncuranza per il fresco e scontato scintillio di successo dalle lustre stringate su misura alle semplici lampade uva testimoni di un pregiatissimo studio in centro dove però le palme e la sabbia son quelle cartonate dell’agenzia di viaggi giù all’angolo.
Qualche vecchina imbacuccata con barboncino incappottato al seguito e qualche famigliola a passeggio con pestifera prole a caccia di gelato guadavano incuriositi la congrega, e alla fine anche mrs Hyde trovò le facce che andava cercando e si beccò la sua dose di compiaciuti commenti.
Il nostro gruppuscolo sciccosamente agghindato nei vari toni che l’occasione suggeriva si sfumazzò l’ultima e poi si ricoverò al tepore delle candele elettriche e delle panche, prima che al fratellino emozionato della sposa venisse una crisi isterica a cercare di convincere gli ospiti a scrostare cappellini e carrozzine in tempo per l’arrivo puntuale (che donna eccezionale!) della regina della festa.
Una breve e composta funzione li scaraventò da lì a poco di nuovo alla mercé delle intemperie, conetti di riso tremebondo alla mano, scenografico tramonto di tempesta all’orizzonte e prime promesse mantenute di pioggerellina molesta.
Lanci e baci di rito e poi via verso le auto e il magnifico palazzo che ci avrebbe nutrito e stupito per il resto della serata, vanto della nostra città e del suo passato di glorie politiche e mercantili che un severissimo esercito di camerieri avrebbe dovuto difendere fino a notte inoltrata dalle dapprima educate occhiate poi sempre più scomposte intemperanze della corte degli invitati.
Uno stupefacente tavolo rinascimentale in marmo intarsiato assolutamente inavvicinabile a borsette e pashmine e riservato solo alla carezza famelica dello sguardo ammiratore accoglie gli ospiti nella prima sala del Palazzo del Principe, borghesissimi tavoli imbanditi di ogni stuzzichevole bendiddio gli fanno da cornice ai lati del monumentale camino sotto un trionfo di soffitti a cassettoni e celebrati sussiegosi antenati alle pareti.
Calici di biondo perlage a me proibiti ma compensati da leccornie triangolari o spiediniformi tintinnano o spariscono in gole e guance cicaleggianti, in attesa dell’arrivo degli elegantissimi sposi per dar via all’assalto da bucanieri in abito da sera alle stanze adiacenti, i tesori contenuti appena intravisti, tra l’ultimo frettoloso viavai di guanti bianchi, o indovinati grazie a sconfinanti pofumini adescatori.
E alla fine arrivarono gli sposi, raggiante lui in abito scuro che a stento tratteneva la gioia di esser riuscito ad accaparrarsi la sua principessa finché morte (o avvocato) non li separi e bellissima lei, in una nuvola sorridente di fluttuante georgette, maliziosamente arricciata dove l’esile fisicata permetteva l’esaltazione di una femminilità di candida sirena con una classe e una grazia equamente proporzionali agli zeri del conto della sartoria.
Svariati miei brindisi analcolici dopo, salvammo il buon Weryrrico dall’ennesimo infarto accodandoci alla processione scintillante dei commensali alla ricerca del nostro tavolo.
E a quel punto la bizzarria di strane coppie dai dettagli sartoriali e la mimica inconfondibilmente sventolante e immancabili belle donne da baciar solo sulla guancia si riunì – il caso volle – piazzandosi  proprio accanto al tavolo dei parenti incuriositi dello sposo.
In tutto eravamo una decina, noi invitati del fratello della sposa, riconoscibili dal numero di bicchieri, macchie sulla tovaglia e bottiglie già vuote allo scoccare della prima ora seduti.
Tra gli invitati dal labbro superiore sempre più luccicante al pari delle loro croste di diademi, spille, bracciali e nocche diamantate scorsi ben cinque signore più panciute di me, anche se penso di averle tutte battute per numero di incursioni al buffet: il ricordo di una zuppetta di ceci tiepida con gamberoni mi tormenta ancora certe sere con sogni di bramosia lussuriosa, a distanza di settimane, assai più delle citate magnifiche creazioni orafe più volte passatemi sgomitando sotto il naso.
Un banchetto di nozze in stato di gravidanza è una vera festa di profumi e sapori, se riesci a sbattertene abbastanza dei moniti di coscienza e bilancia, e pure per gli occhi e per lo spirito, quando ti accorgi degli effetti devastanti subiti da chi non è costretto a dissetarsi d’acqua.
Che poi in realtà nel turbinar di ravioli di pesce e torta di fragoline ci scivolarono pure ben due calici di Philipponnard giù per l’ugola, a rinfrancare discorsi di ritrovati compagni di classe delle medie e qualche volteggio danzereccio, sempre a fin di bene, per il nostro squisito ospite ormai sbronzo e quindi noncurante manco della mamma che incustodita recriminava rubizza di certe piccanti scappatelle del defunto e facoltoso marito, noto donnaiolo.
Manco a dirlo, scemata che fu la folla dei festanti, più o meno irriconoscibili nella fatica del divertimento, rimasero i soliti irriducibili. Noi.
Si tirò il collo all’ultima bottiglia di champagne con gli sposi, nei bicchieri da acqua, le cravatte in tasca, le borsette e i tacchi abbandonati qua e là, e le battute sguaiate del caso.
La sposa – dal generoso buonsenso genovese – oltre che della bomboniera e inevitabile doppia dose di baci, caricò le ultime signore anche dei centrotavola,  deliziose composizioni di foglie di magnolia e quercia, rose burrose, bacche rosso dicembrino e succosi melograni.
Succosi e pure dolci, ma traditori - come scoprìi l’indomani in preda ad attacco di curiosa gola a colazione mentre a momenti mi strozzo coi granelli rubini e stupefatto orrore alla ricostruzione dai messaggi sul mio telefono che il resto della mia banda non si era negato un prosieguo festante in localaccio di dubbio gusto, bontà loro, lasciando però le chiavi di casa nella mia macchina!

pre-natal
domenica 23 dicembre 2007 22.53
Dopo la pace di una settimana rubata al lavoro per farsi abbracciare e coccolare dalle montagne croccanti di neve scintillina e pizzicotti sottozero e baffetti di zucchero vanigliato di pasticcerie e grandi culate sul ghiaccio a penitenza del troppo ridere per le esibizioni sbruffone di un cane rosso di città che per qualche giorno si è spacciato per lupo siberiano di sei anni più giovane in mezzo ai boschi, ecco che arrivò anche l’allegria del natale di casa.
Ci sono stati anni di natale di corsa, in affanno per riempire i vuoti di 365 giorni scappati tra le pagine di un calendario di scadenze, altri di fastidio, quando tutto quel sorridente coro di auguri suonava come un insolente mancanza di tatto per chi in solitudine raccoglieva e buttava carta stracciata e laccetti rossi insieme al pensiero di un amante sfuggente, poi quelli di vigile controllo, a dribblare inevitabili conseguenze di banchetti e gozzovigli sullo specchio che di lì a poco avrebbe riflesso la seconda pelle luccicante di un capodanno carico di aspettativa.
Quest’anno però il natale – nonostante gli scioperi, le corse, le lontananze e le bilance  - è arrivato benvenuto, con tutto che la posta elettronica  è saltata intasata dagli auguri troppo ingombranti, e i nervi pure, che il mondo come al solito pare accorgersi al 19 che il 25 sarà festa, e tra questi schiafferei al primo posto pari merito il mio buon padre e fratello che si riducono all’ultimo per chiedermi di pensare al regalo materno (evidentemente i centri commerciali da metà novembre in poi li bazzico solo io).
Con un sottile benefico senso di perfidia ho soffocato i sani principi di comportamento britannico di mrs Hyde negando sfacciatamente il mio posto in coda a lagnose ottuagenarie frettolose con un sopracciglio alzato e la panza in fuori, prendendomi tutto il tempo necessario per passeggiare come una morbida tartaruga rovesciata per i negozi del centro e magari scherzare pure con le commesse magroline e inviperite, che il resto dei clienti aspettasse e che chi ha paura dei cani al parco si fotta, non ho mica più fiato per tenerlo legato il mio coguaro mannaro.
Quest’anno non ho dovuto soffrire nella scelta: ho scricchiolato sotto i denti le mandorle e i canditi del panettone e ho pure imbiancato la punta del naso con lo zucchero soffice del pandoro, regalando a miss Jekill un delizioso cappottino taglia 40 sotto l’albero, col preciso intendimento di rientrarci entro l’autunno successivo (se non proprio in primavera..)
E dunque benvenuti furon pure i tradizionali banchetti regalizi colle mie girls e le sisters, in riviera e città! Comodamente accudite al ristorantino delle squisite occasioni il primo, con una Bianca in forma strepitosa anche se insoddisfatta del suo nuovo taglio di capelli (confesso: il pacchetto l’ho già bello che aperto e pure indossato, lo so, ma quest’anno sono così: assolutamente indisciplinata!)
In curiosa esplorazione della nuova magione della Ines il secondo, un conviviale festino di otto femmine più o meno sistemate intorno a un tavolo, sinceramente più preoccupata per le candele che la Wanda accendeva in ogni dove che per l’accumulo di calorie extra sul mio didietro del bis di lasagne al pesto della Ines che ancora mi sogno o gli incalcolabili affondi di cucchiaio nella crema di mascarpone e marroni della Franca, bischeri scherzi delle cene sobrie.
Deliziosa la nuova tana della nostra ospite, in pieno centro storico, con affaccio su noto localino notturno, a sufficiente altezza da ripagare col relativo silenzio l’ardesia consumata degli otto piani di scale. Con bonaria ficcanasaggine ho osservato qui e là, tra i vasetti e le tazze oltre i vetri della credenza e o i flaconcini in casuale ordine a fianco al lavandino in bagno, persa in quello che ricordo ancora chiaramente fu un periodo per me bellissimo, quando imparavo a sentire mia la prima casa dove ho vissuto sola, godendo di trovare un posto adatto per ogni cosa, dannandomi alla ricerca di oggetti misteriosamente scomparsi per colpa evidentemente dell’unico occupante bipede.
Con l’avvicendarsi delle pietanze (ottime le succulente torte di verdura, e un plauso particolare ai carciofi fritti!) e delle fascinose commensali al mio fianco (chi fuma, chi si aggira, chi va in bagno, chi sparecchia) arrivò il momento dello spacchettamento, che fatti i dovuti conti (8 femmine x 8 pacchetti) è un trionfo di carte fruscianti, commenti irripetibili e mugolii e risate da sole meritevoli e ripaganti di tutti i tacchi e i neuroni consumati nei 20 giorni precedenti.
E infine la terza puntata gastronomico-prenatalizia,  abitualmente la più devastante, ieri sera: altri otto piani di ascensione alla mecca della decorazione kitsh-christmas (incluso zerbino santaclaus, carta igienica rennata, gingobels versione ska e tacchino farcito di 9 kg) a festeggiare con l’altra parte dei futuri zii il mio di ripieno ormai instancabilmente sgambettante e la santa ricorrenza.
E qui forse la mia pazienza è venuta meno, che lungi dal sentirmi una madonna de noatri, ho di buon grado accettato baci e abbracci fumosi di buoi e asinelli sbronzi, con una punta di insofferenza ahimè per una festa vissuta a metà da una che non si è mai tirata indietro di fronte ai vizi, e la stonata cattiveria che mi è sfuggita, all’indirizzo del malcapitato che ha cercato di vietarmi l’unico bicchiere di vino quotidiano concesso, e si è ritrovato a fumare con la testa all’acqua fuori dalla finestra. Che se tu dici che non posso bere, caro mio, io a te manco ti lascio fumare, tiè.
Più o meno verso le due, affaticata da tanto scartare di pacchetti,  lontani ricordi di passate vigilie sculettanti fino all’alba su palchetti viscidi di fiati sudati e bicchieri scivolati di mano, a far discorsi svaporati per bar affollati con la bocca piena di palline, o risvegli l’indomani con la sensazione di aver limonato con Rodolfo la renna mi hanno rimboccato un po’ troppo strette le coperte, con una punta di malinconia per i passati natali da monella scacciati presto da un paio di calcetti dal giovane Nureyev in panza qui, per far posto a fantasie dei natali futuri da trascorrere a far la guardiana insonne alle prese elettriche, alle lucine dell’albero, alle scorte di pampers e alle vibrisse del povero Rocco, il quale tra l’altro stamattina mi ha riservato una delle piccole gioie della cinofilia, con cinque mucchietti di vomito di colore uguale ma consistenza diversa disseminate sul pavimento in cucina, quale inequivocabile testimonianza di gradimento degli avanzi di tacchino recatigli in dono la sera, ingoiati senza degna masticazione.
E così da buon irlandese perlomeno lui ha tenuto alto l’onore della tradizione di bagordi dicembrini...