giovedì 1 dicembre 2011

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le mie ragazze
Quanto parlano le donne, mamma mia.
È curioso che queste straordinarie creature siano dotate di:
- coppia di occhi aguzzi per scovare il meglio divino sandaletto assassino in saldo e il microscopico difetto nella statuaria top model brasiliana,
- coppia di profonde pelose cavità  atte a selezionare in un soffio frizzante il nulla che le incoronerà regine di seduzione, odalische di biscotto o sultane di sgrassatore per vetri,
- coppia di sensibili e curiosi padiglioni auricolari da adornare di ipnotici scintillanti sciocchezzuole di carati o nichel,
è curioso appunto che alla fine abbiano una bocca solamente.
Una bocca sola, e un cuore grande che ci deve passare attraverso, e pure in senso contrario alle  inconsistenti porzioni da muratore di lasagne, polenta, cassoeula, frittatone e barbera e babà al rhum che traditrici finiscono  depositate sull’altra coppia di morbide guance,  posteriori stavolta.
Divido la parte più notturna dei miei giorni e quella meno esposta delle mie alterne fortune con un piccolo branco di queste mirabili bestiole cinguettanti, che alla faccia delle più petrarchesche aspettative e della piaga dilagante dell’anoressia, mangiano come scrofette democristinane, bevono come camionisti olandesi su una 4x4 californiana, sognano di principi moderni ma si innamorano di eroici scudieri.
Ci riuniamo spesso intorno a calici e taglieri, tavoli domestici, poltroncine allineate al buio o sgabelli arrembati a un bancone alla fine dei rispettivi impegni diurni per la gioia scoppiettina di soddisfare istinti di socializzazione, e accarezzando delicatamente il doppio giro di perle, o un ricciolo di seta sfuggito al fermacapelli queste femmine mi incantano soavemente con rimedi per la stitichezza o l’irsutismo, talloni disidratati e progetti di irrealizzabili accoltellamenti del porco traditore di turno.
Nei periodi di maleodoranti ondate di sfiga e frustrazione professionale, flagellanti abbandoni o croniche assenze maschili, incivili divergenze condominiali o di viabilità,  loro ci sono.
Nei giorni di delirante onnipotenza per la perdita di una taglia, la conquista di un invito a cena, la scoperta di un tesoro di stockista, di nuovo parrucchiere forse gay, di estetista dalla mano leggera o di idraulico quasi onesto e elettrauto con meno di sei calendari della Parietti  appesi in officina, loro sono il mio coro da curva nord.
Tutte belle, tutte speciali le mie ragazze,  ti strattonano per un braccio quando barcollando sbronza stai per andare a sbattere ignara contro l’ex che ti ha appena scaricato o stai per pestare una cacca con la strepitosa Prada nuova, ti tengono la porta del bagno che non si chiude mai in giro per bar e ti informano del pezzo di insalata tra i tuoi denti solo dopo che hai fatto la splendida con il ganzo che puntavi da una vita.
Le mie ragazze hanno sempre l’insulto giusto al momento giusto per il bastardo che ti ha morsicato il cuore e l’anima o per la stronza che ti soffia il posteggio o il turno in coda, ma sanno anche commentare pesantemente con positiva eloquenza i tuoi traguardi sentimentali senza cercare di sfilargli le mutande, hanno il candore di ammettere che con la canotta di H&M sei più sciccosa della Gwinet e la solidale capacità di scolarsi alla goccia il giro offerto per festeggiare una stra-meritata promozione.
L’unica cosa forse è che tutte insieme delle volte ecco parlano davvero un po’ tanto.
Meno male che hanno una bocca sola in fondo…




la Jolanda
La bella Jolanda è la mia amica bionda con gli occhi azzurri.
Di primo lavoro fa la cinica, che è un lavoro che secondo me svolge egregiamente, anche se fa a cazzotti con i suoi golfini di cachemire rosa e orecchini di perle.
Per potersi garantire l’indipendenza economica e la competenza necessarie a far bene la cinica, la Jolanda si industria di giorno anche a fare l’avvocato.
Ma siccome alla ragazza non basta tutto ciò, in barba alle sue pretese di pigrizia, di terzo mestiere nella vita ha deciso di insegnare le sottrazioni alla sua bilancia.
Oltre che essere un avvocato cinico e sempre a dieta però la Jolanda ha diversi hobby: il telefonino, le sigarette e i cuba libre, che coltiva con scrupolosa smodatezza, ovviamente alla faccia di Sirchia, del dietologo e delle bollette.
Ha pure tempo e voglia per coccolare e litigare con un fidanzato, se possibile più cinico, più accanito fumatore e più amante del rhum di lei.
E comunque trova anche il modo di parlare davvero una cifra.
Una delle sue caratteristiche che più mi affascinano è la sua capacità di parlare di qualsiasi cosa, dalla politica estera alle vicissitudini di vita vera del vicolo, dai saldi più furbi ai ceffoni che si prendono dalla vita, con la passione di una mente sveglia anche se forse un po’ troppo tendente a sinistra per essere così bionda e l’intelligenza disincantata di chi ha a che fare con le quotidiane sofferenze e meschinità che riempiono i tribunali, la rinascente  e i bar.
Alla Jolanda schiacci il tasto play e quella parte con un incalzante caleidoscopio di dettagli e cervellotiche ramificazioni che molte volte iniziano da un appuntamento mancato dal parrucchiere e finiscono con le cause e possibili soluzioni della questione palestinese passando per il fauvismo e i macchiaioli.
Di solito io a un certo punto mi perdo ammirata nella sua capacità di difendere con soggettivo realismo il pensiero e invidiosa delle sue trasparenti traduzioni del sentimento, comincio ad annuire da ovino ignorante, mi sento un’idiota e mi ordino un’altra birra.
Ma questo non mi impedisce di amarla così com’è, come uno splendido e affilato coltello birmano d’argento con l’impugnatura tempestata di perle e smeraldi e una morbida fodera di velluto di seta ricamato a rose antiche, iris e libellule.
Venerdì sera non stava bene, era preoccupata per qualcosa per cui io non potevo far nulla.
Non parlava, ha bevuto un chinotto con ghiaccio e all’una è andata via.
Strano come ci si senta impotenti di fronte alla gabbia sul cuore della sofferenza di chi pensi sempre sia più forte di te.


la Ines
Se una sera la bella Ines si dovesse accidentalmente ferire con un bicchiere scheggiato di cuba, sono quasi certa che non ci si troverebbe sangue nelle sue vene, ma mercurio.
Perchè Ines è una stanga di ragazza dai capelli mossi e gli occhi di caffè con un davanzale da far invidia ai giardini pensili dei Babilonesi e un destro che imperla la fronte ai ragazzini del suo corso di savate, è argento vivo che non lo fermi manco con il sedativo dei bracconieri nigeriani e 15 appiccicosi chupiti di Pampero&Pera ingoiati il secondo giorno di mestruazioni.
Per 56 ore al giorno la Ines mette la stessa determinata foja a difendere in tribunale i pecuniari interessi dei suoi clienti inavvertitamente dimenticati a casa da datori di lavoro distratti e i diritti allo sfruttamento di qualsiasi mezzo legale per godere del proprio corpo delle ragazzacce over 30, ben meritandosi sul campo il fregio di Divina della Noche.
È uno spirito appassionato, schietto, ottimista, forte e rumoroso, dalla risata gonfia e contagiosa e devi solo devi sperare che non sia il tuo turno di farle da punch-ball, perché la ragazza è un caterpillar coi tacchi, che non molla finchè non arriva il carrello dei digestivi di un pranzo di nozze partenopeo da 16 portate e lei si ordina impassibile il terzo Montenegro mentre tu getti il tovagliolo e ti vomiti stremato il tuo “vabbè cazzo e allora c’hai raggione teh!”
Il tempo che la nostra riesce a rubare all’avvocatura è un doppio concentrato ristretto di vertiginose scollature e ogni altro ben di dio che sia umanamente possibile mordere con gusto, letture, concerti, musei, viaggi, locali notturni, amiche di ogni colore e un fidanzato altrettanto polimorfico e inafferabile.
Più di una volta mi sono sorpresa a  immaginarli assieme, chiedendomi indiscreta quanto vapore e scintille potessero reggere le stilossissime esili spalle di lui e le collaudate molle al titanio del loro materasso.
Venerdì sera in particolare ho lottato per nascondere dietro all’abituale censura del mio sorriso leonardesco l’immagine rapida della Ines che con sensuale sicumera e uno strepitoso stivale molto eighties pagato una sciocchezza prendeva a calci la sua dolce metà che si stava dilungando in discorsi inutili e drink con una sculettante bionda poco distante.
Non si scherza mica col fuoco nelle vene della Ines…


La Franca
Se una sacher un giorno decidesse di mettere fine alla sua carriera conservatrice di dolce far niente tra le più roboanti meringate,  luccicanti crostate di fragole e frivole sfogliatelle, e si comprasse ciglia setose, un bel paio di tette e un tailleur blu da avvocato (pure lei) diventerebbe di sicuro la Franca.
La bella Franca ha i capelli scuri e lucenti di glassa fondente, gli occhi di nocciola e un sorriso gentile che ti sorprende come le scorzette nella marmellata di arancia amara.
Con la Franca sai cosa aspettarti, la ricetta è quella classica femminile di esatte proporzioni di zucchero e sale in zucca, un corpo minuto mai scomposto impastato a un’anima rigorosa, fedele a se stessa e ai suoi principi.
L’orlo della gonna della Franca non salirà mai oltre alle temperature necessarie alla cottura lenta e rispettosa dei propri ingredienti, ha imparato infatti a suon di dolorose bruciature che non si scherza col cuore.
Per una inguaribile pasticciona come me che apre incautamente il freezer dell’anima all’entusiasta ricerca di succulenti braciole e poi una volta scongelato il sacchetto si ritrova solo con broccoli o peggio finocchi, la Franca appare come la quintessenza della brava ragazza, con una delicatezza di piatti a fiorellini rosa e tovaglioli di lino ricamati invece di una forchetta piantata direttamente nella scatola di tonno seduta sul banco della cucina.
Io mi diverto con sottile malizia le nostre sere a turbare il battito delle sue ciglia, che accelera inevitabilmente smascherando il suo beneducato stupore e a strapparle soffi scandalizzati di “MaaaAaalex..” con commenti malandrini e battutacce da caserma alla mia quarta birra e alla sua prima coca con ghiaccio ormai sciolto (anche se ogni tanto con un po’ di pressante gioco di squadra con le altre ci si riesce a trascinarla nella nostra pozza alcolica)
Ma poi lei mi candisce sottovoce il cuore coi suoi “Come stai?” più profondi, quelli che tra femmine suonano come “Vedo che stai messa di merda cara, se ha voglia sono qui” e se è la volta che deve uscire il ripieno lei non si tira indietro.
Come pure non si arrende alle dimensioni di casa di bambola della sua dimora, ciclicamente invasa dalle nostre incursioni di onnivore termiti cicaleggianti in push-up.
Venerdì mi sa che le sue dolcezze se l’è sbafate il giovanotto forestiero delle pianure piacentine che le ha addentato il cuore una sera d’agosto a Mikonos, che noialtre eravamo tutte impegnate a sbronzarci e a sbavare dietro un croccante barista gay della piccola Venezia greca.
Lei insiste a dire che non sono fidanzati, ma a me suona tanto come una che dovrebbe essere a dieta e poi la becchi in pasticceria…

 La Miriam
Per tutti quelli che non credono a Cenerentola la mia bella amica Miriam (con la erre moscia) daRebbe un supeRbo  peRché al taRdivo Ravvedimento costRingendoli a mangiaRsi una meRda fRitta con una foRchetta d’aRgento.
La ragazza infatti ci ha fatto sentire tutte almeno una volta delle baccanti gozzovigliatrici destinate a bruciare all’inferno dantesco nei punitivi gironi delle golose di shopping senza carta di credito, o delle lussuriose dell’happy hour dell’aperitivo  analcolico, salvo poi spesso accompagnarci molto umanamente anche lei col suo immenso sorriso entusiasta.
Volontariato, santa Messa alla domenica (o qualche sabato pomeriggio previdente), Quaresime al succo d’ananas, integerrima  virtù, bel culo, fantastico apparato mammario, testa di ricci scuri e due metri di ciglia a incorniciarle i dolci e irremovibili occhioni castani che finalmente han trovato il loro Principe Pallino.
La Miriam ci ha fatto a turno da mamma, da cuoca , da confessore, da barista e coreografa, confortandoci con le sue mitiche lasagne capaci di affondare una cesta di sughero di Sassari, i suoi ineccepibili buoni principi da noi sposati al giovedì e regolarmente ripudiati 24hr dopo, i suoi gratuiti e spassionati consigli da avvocato col cuore (?) o carpentiere dal grilletto (del trapano) facile, e i suoi fedelissimi cuba libre fin sui palchetti mattutini di paludose balere d’inverno e madidi ciringhiti urbani d’estate che per trascinarla via ci voleva l’aci.
Incredibilmente tanta sincera gioia di vivere e beltà dentro e fuori ce la siamo spupazzata solo noi privilegiate ragazze per lunghe stagioni, finchè un giorno di luglio un marcantonio di bravo giovane, avvocato pure lui, non ce l’ha portata via e noi siamo finalmente riuscite a rientrare nelle taglie dei nostri jeans senza rotolarci sul letto come marines idrofobe e a convincerci che allora forse la bontà alla fine paga, anche se più o meno con gli stessi tempi dei rimborsi dell’Agenzia delle Entrate.
Per qualche settimana a dire il vero abbiamo pure provato anche noi con il volontariato, sperando che un po’ di grasso colasse anche su queste peccatrici, intrattenendo pazienti conversazioni e sbadigli da lussazione mandibolare con gli amici di lui. Si sa che l’uomo è cacciatore, ma i ragazzi in questione parevano più mitili che squali tigre e presto noialtre femmine dal cuore arido e la mente calcolatrice ci siam arrese all’evidenza che l’unico principe se l’era giustamente agguantato la nostra Cenerella e siam tornate ad arrangiarci con le nostre scandalose minigonne da sirene bipedi nelle pozze alcoliche delle notti vicolare.
La Miriam si è sposata il 18 novembre scorso, e ancora noi tutte portiamo con orgoglio le cicatrici più o meno evidenti sulle piante dei piedi e conserviamo nei nostri cuori neri il bel ricordo di due sogni avverati nella stessa sera: vedere la nostra eroina raggiante e poter perpetrare a oltranza il saccheggio del free bar.
Sulle testimonianze fotografiche dell’avvenimento vige la più rigida censura.
Per eventuali versamenti pro-riscatto della Miriam scomparsa invece rivolgersi alla Jolanda.

 La Tina
Non tutte le mie ragazze si ricaricano il cellulare e si difendono dal proprio direttore di banca nel periodo dei saldi facendo l’avvocato.
La bella e minuscola Caterina (detta Tina) per esempio è caduta sul nostro pianeta da una stella ed è finita a lavorare dietro una scrivania in una multinazionale che le fa venire le (pochissime, logggiuro) rughe e l’irrisolta curiosità di cos’altro calpesta la crosta terrestre oltre ai nerds che sopravvivono nutrendosi con le schifezze della mensa.
La Tina infatti è un’esploratrice fatta di gemme acquamarine e polvere di ali di farfalla che scintilla solo sotto i raggi della luna buona del venerdì notte, petali di viola del pensiero, pepe di cajenna, Absolut blu e veleno di crotalo in proporzioni 1/10. Da qualche tempo le intemperanze del suo interiore l’han convinta a sostituire la vodka con la birra, ma lei rimane comunque una roba dell’altro mondo.
Ha gli occhi color delle foglie, l’incarnato chiaro e trasparente come la neve, i capelli che con l’impatto con l’atmosfera le son diventati carota e una boccuccia di rosa capace di zufolare le più consolanti verità, scostumate cattiverie o lascive porcate.
Piccoletta com’è coi suoi sì e no 40 esili chili di piume di angelo bagnate e linguaccia sarebbe il sogno di qualsiasi collezionista sordo di bambole. Ma lei no, non si accontenterebbe mai di una vita in una rassicurante teca di convenzioni sociali, e per quanto si senta fragile nel nostro mondo per questa sua squisita proporzione di folletta, la Tina si difende con un cuore ardente, uno spirito guerriero, berretti birichini e un’ammirevole equilibrio sui tacchi.
Parte del suo sconforto e del veleno che ne deriva è dovuto a questa ricerca infruttuosa di un compagno extraterrestre gentile che l’ascolti e si perda in volo con lei.
Tuttavia la nostra non si da certo per vinta e si esercita regolarmente con pervicace disciplina al mestiere della felicità, trovandone in buone dosi tra rilassanti sotterranee palestre, o cullata dalle onde del mare in braccio al vento che gonfia la randa, alla scoperta di tesori di carezze tessili di un’eleganza mai scontata, tra le risate della sua banda di gigantesse femmine, le spensierate capriole di un nipotino tirannico, le fusa di un gatto sovrappeso  e un’ombra scura dell’uomo che vorrebbe.
La Tina mi è particolarmente cara per questo suo caustico disincanto e la natura combattiva del suo spirito sincero. Mi ha insegnato quanto spesso sia più liberatorio dar voce alla propria diversità e quanto similitudine ci sia nel sentirsi differenti e come le più infuocate discussioni alcoliche si possano sciogliere in sciroppo di successivo perdono.
Venerdì sera ci siamo ritrovate che era sabato mattina a ridere tra nuvole di fumo aromatico e progetti per l’indomani di scemenze chiacchierine come culi di bei ragazzi e jeans che ti fanno un bel culo.
Grazie cicci oltre che per il passaggio, anche di avermi nascosto di aver incrociato qualcuno fino a quando non era ormai lontano, che ero, ahimè, senza fazzoletti di carta!

 La Wanda
Nei miei sogni di adolescente, schiacciati tra le pagine accentate dei libri di letteratura francese deturpate da graffiti inneggianti a Simon Le Bon e alla discoteca di tendenza, progettavo improbabili mestieri che se solo avessi provato a barattare con l’obbediente pigrizia e l’indolente affetto filiale che mi lega ancora oggi al mio lavoro, avrei potuto svolgere “da grande”.
Abbandonate le precoci aspirazioni di divenire suora (elementari) e ballerina o pattinatrice (medie) mi crogiolai per lungo tempo in quello che immaginavo fosse la vita della costumista teatrale (liceo), fino al momento di lavorare davvero, in un ufficio, invidiando profondamente i garzoni di bottega dei fabbri (ancora oggi mi incantano cancellate ricciolute e meccanismi di incorruttibili serrature).
Immaginate il diametro della mia bocca spalancata quando poco dopo la nostra conoscenza, appresi che la mia amica Wanda dirigeva una sartoria, e la gioia poi al suo invito di scoprire quel piccolo regno di specchi, manichini, fettucce, cerniere e puntaspilli.
Fu solo dopo diverse serate trascorse a esercitare lingue e braccia svuotando bicchieri che scoprii il lato oscuro di un mondo fatto in realtà di duro lavoro, buon gusto e creatività, precisione nel taglio e nei tempi di consegna, e tanta diplomazia nel correggere difetti, per esaltare e farsi pagare dalle signore della buona società che molto poco elegantemente spesso preferiscono partire per le vacanze senza saldare i propri conti.
La bella Wanda è una ragazza morbida con gli occhi che ridono del colore dell’ambra e i capelli che cambiano con l’umore e le stagioni, che da ricci biondi  si trasformano in sbarazzina frangetta ramata a incoronare la sua testa bella dura e piena di idee e di sogni che ogni tanto le pizzicano il cuore.
Sorride un po’ di traverso la ragazza, come se ci dovesse pensare un pò, e dispensa generosamente affetto, cene e chiacchiere scoppiettanti, colorate come la sua bella casa, che sta proprio sopra un trafficoso bagno turco per soli uomini molto gentili, e che divide con un ruffiano cagnolino rubacuori bianco e nero che noi girls chiamiamo il Senzapalle, per via dell’infausto incontro col bisturi di un veterinario avvenuto un malaugurato giorno di un anno fa per sedarne l’indole focosa.
L’unico (vero) maschio di casa è quindi tal Giannetto, uno splendido panterone vagabondo color pece con gli occhi paglierini grosso due volte il Senzapalle e socievole come una scatola di tonno con gli artigli.
La Wanda assicura che è adorabile, ma io credo fermamente che chi non mi ama non mi merita e che il mondo è pieno di gatti, e lui inspiegabilmente non gradisce le donne invadenti e rumorose quindi non credo proprio che sia destino che nasca mai niente tra noi.
Invece la sua padrona mi piace molto, è come la luce di un raggio di sole di maggio che filtra tra gli alberi e scalda senza bruciare, che gioca con forme e colori diversi, che non lo riesci a piegare ma che sai per certo che anche dietro le nuvole c’è.
E la Wanda c’è stata con me, a far fitte chiacchiere serie le notti di motorini d’estate sui misteri maschili o frivolezze di piume e paillettes.
Ultimamente forse ha riversato sul suo frigorifero un po’ troppo del suo generoso affetto, e quindi adesso fa lo stesso terzo lavoro della Jolanda (sta a dieta).
Ma non la freghi la Wanda, lei trova lo stesso il modo di brindare con noi monelle beone, e il suo sorriso dolce e determinato l’accompagna quando alza il bicchierone pieno d’acqua e bolle che impanano la sua fettina di limone.
Venerdì sera è arrivata alla fine della settimana vincitrice ma stanca, così è collassata a casa, in previsione di un ipocalorico cinema per l’indomani.
Bella vera, Wanda cara noi si fa tutte il tifo per te e il tuo prossimo bikini!

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