mercoledì 7 dicembre 2011

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la querelle della tavoletta
Stasera rincasando quella gran donna della Pina e il bello e impossibile suo Diego su Diggei si spartivano i miei sorrisi cretini da automobilista solitaria tra le pazienti soste dietro al 20 sbarrato con le loro accomunanti piccole trasversali verità della vita.
Tra le varie ho raccolto complice un frustrato appello di tale impiegata a lasciare l’esclusiva dei bagni femminili alle utenze preposte, motivato da un superficiale mero fastidio a condividere oltre all’intimità tipica del luogo anche certe maleducate conseguenze umide che i colleghi ometti spesso fingono di non vedere.
Il breve eloquente silenzio della fantafemmina djessa mi ha scavato un po’ più a fondo però, sganciando il carrello di certi  lontanissimi (2000?) ricordi incastrati nella mia nebbia cerebrale di segatura e saldi.
Ho rivisto infatti volare lungo il mio corridoio parole di fuoco e un proiettile a forma di rotolo di carta igienica, all’indirizzo di giovane tatuatissimo ospite fancazzista col quale un anno e mezzo di frequenti dispute finivano immancabilmente placate dal materasso, dal divano, dal tappeto o dal tavolo della cucina, ma non prima di essersi levati rospi urlanti grossi come cinghiali oltre che la parte sufficiente dei vestiti.
Il ragazzo infatti, era dotato di innegabile carattere ardente, buon cuore selvatico e la fisicata appetitosa di bagnino-surfista-istruttore-di-snow che sfido corromperebbe qualsiasi signora perbene neo-separata e splendidamente dimagrita per lo choc della riconquistata libertà, inducendola allo spensierato riscatto tardivo di tante timide estati adolescenziali trascorse con l’asciugamano rivettato intorno al culone sbavando dietro a ignari fusti impegnati a richiudere ombrelloni e spazzare sabbia al crepuscolo.
Un metro e ottanta di muscoli, due fari verdi e un sorriso immenso su una fazza da schiaffi, un didietro da urlo e una pelle di seta coperta di ghirigori e di vezzosi nei da baciare, il più grande e ahimè non asportabile però era il suo urticante e distratto maschilismo da wc.
Mettiamo in chiaro che comprendo ma non condivido appieno le sacerdotesse rivoluzionarie degli anni settanta che alla fine ci siam trovate più libere di sentirci infelicemente incomprese, che ho l’uso perfettamente addestrato di entrambe le mani, che un setter che insegue una bassotta in calore non è nulla in confronto al peso della tavoletta del water, e che la sottoscritta la alza e la abbassa agevolmente durante l’espletamento delle routinarie incombenze inbigodinate di passata di spugna per le pulizie settimanali.
Tuttavia quando si ha a che fare con le femmine, le cose non sono mai solo quello che sembrano.
C’è un recondito significato in quel gesto, così come l’accarezzarsi casuale di un ricciolo di una bionda testolina inclinata che sta “solo parlando” con l’occasionale ganzo di turno accende l’allarme più o meno lampeggiante in qualsiasi sua fidanzata, e come il zufolante “saltino” in tal negozio si traduce misteriosamente in una multa milionaria per divieto di sosta e oltraggio a pubblico ufficiale (vigilessa stronza), così una donna che deve abbassare la tavoletta del water in casa sua minimizza commentando con sorriso noncurante, ma vi avviso ragazzi: è una bomba ad orologeria.
Il semplice gesto meccanico del braccio femminile infatti rimescola come uno scopino i più torbidi principi di lotta armata che vanno dal moderato sindacalismo di “non sono una sguattera”, passando dal filosofico “pensa solo a se stesso” o democratico “schifoso porco”,  fino al lapalissiano “ecco: non mi ama più”, e sono bellamente ignorati dalle suddette solo se graniticamente soddisfatte dal loro tran-tran sentimentale o rischiosamente successivamente disinnescabili a costo di plateali volontarie manovre compensatorie  da parte del maschio artificiere coinquilino. Necessiteranno infatti faticose tattiche, tanto elementari quanto facili da trascurare nella vita di tutti i giorni: costanti coccole, elogi rassicuranti, parole di dolcezza, ammirazione e complicità e un fiore ogni tanto (segnarsi “quei giorni”sull’agenda in ufficio), insomma prove alternative che l’amore che un tempo ve la faceva spogliare con gli occhi in pizzeria c’è ancora, anche se sotto un’altra forma, forse più domestica ma ben più apprezzata da chi come voi sa trovare sexy la sussurrata eleganza di un guanto di gomma coordinato con la paglietta per i piatti, pena trovarsi poi a dormire sul divano di un amico con la ciambella del cesso intorno al collo per aver detto casualmente che la pasta mancava di sale.
Ben lungi purtroppo dall’essermi meritata ad oggi un siffatto prezioso compagno di vita e di giochi, mentirei sfacciatamente dicendo che ho ovviato selezionando i successivi partners perquisendo il mio bagno dopo le loro ritirate.
Però forse le moderne madri che lavorano hanno imparato piazzare degli elettrodi collegati allo sciacquone per ricordare ai figli una cortesia che parla di affetto restituito, forse i giovani uomini che abitando da soli si sono accorti che la tavoletta sbrodolata da pulire non è tanto meglio che sedersi sulla porcellana ghiacciata quando ti svegli sudato nel cuore della notte sognando l’imodium e  rimpiangendo i suoi cazzo di cespugli, o forse ho semplicemente avuto fortuna, ma i successivi temporanei padroni del mio cuore mi han sempre riabbassato l’asse, e io, da romanticona che sono, penso di aver scorto nel sorriso del mattino dopo la certezza di averli adeguatamente ricompensati per questo loro piccolo modo di dirmi “ti rispetto”..
(anche se poi magari sti incivili mi finivano omertosi la carta)




Miss Jekill va a palazzo
Venerdi sera miss Jekill stufa di aspettare la Fata Ma(lan)drina che, rimasta con la bacchetta magica scarica dalle parti dell’outlet di Serravalle si era andata ad ubriacare di nocino all’osteria con l’elettricista di lì, ha lucidato i suoi vecchi stivali cuissard e si è dipinta di raso nero, si è fatta prestare la parrucca fuxia dalla piccola clown, ha scroccato 50 euro alla principessa, ha chiuso in dispensa mrs Hyde e se n’è andata al ballo a piedi.
Festa di compleanno al raccolto ed estremamente curato palazzo Biscia&Mammolah, con la sua corte di giullari e funamboli dell’amore diverso, di stilosissime dame ed eclettici loro scudieri.
Certi irrinunciabili festini disseminati lungo il calendario epatico di miss Jekill sono a metà strada tra il Carnevale di Rio e il Capodanno Cinese. Nel senso che ci si arriva frizzanti danzatori di samba  in piume e paillettes e si guadagna la via di casa acciaccati come Dragoni di cartapesta.
L’atmosfera serpeggia di vetriolo edulcorato negli iniziali commenti entusiasti delle rispettive mise dei 20 intervenuti, stemperandosi inevitabilmente in camerateschi sorrisi di amicizia ridanciana tra le bollicine della terza magnum color zucca, aggiornandosi con disinteressata morbosità sulle vorticose evoluzioni di strane coppie e l’ultimo ritrovato farmaceutico sciogli-pancia tra una generosa cucchiaiata di insalata russa e un quarto bis di polpettone. Un’osannata alternanza democratica delle ugole della signora Ciccone e dei Depeche  satura il resto dell’aria, ricordando a tutto il quartiere che non ci sono solo magrebini sbronzi, rumeni irascibili e sboccate signorine stakanoviste a rompere le balle fino all’alba.
In quanto a chiacchiere devo dire che i miei “sisters” non mi deludono mai, tanto sono eterogenei nelle loro ineccepibili o sintomatiche professioni diurne quanto sono ampie le scale acustiche dei loro gaudenti vocalizzi, fanno uno scandaloso baccano spumeggiante di pettegola creatività che mi conferma ahimè come io sia perdutamente affascinata da tutto ciò che sorprende per non essere solo quello che sembra.
Madonna Mammolah, una delle donne più belle, spietatamente letali e dolcemente complicate che io abbia la fortuna di amare, eccezionalmente non ha preteso la testa mozza di nessuno e il suo festeggiato coinquilino ha potuto tirare un sospiro di sollievo constatando l’assenza di costosi cocci di design all’una del mattino quando gli avanzi irriducibili del nostro facinoroso gruppetto ha lasciato il palazzo a caccia di danze nei cunicoli sudaticci di ansante balera discutibilmente ripitturata.
Qualche tempo prima delle sei miss Jekill si è stancata finalmente di sculettare in quello che l’ennesima bottiglietta verde aveva rivelato essere ormai una riproduzione terrestre del bar di Guerre Stellari, si è ricordata della seriosa prigioniera nello sgabuzzino di casa e si è dunque graziosamente congedata.
Intorno alle due pomeridiane di sabato una rilasciata mrs Hyde in calzoni mimetici e chanel n°5 confusamente spiegava a una maleducata deiezione canina fumante come saltare nel sacchetto, domandandosi perché se negli scritti di Stevenson la perfida tra le due avrebbe dovuto essere lei, nel suo caso era miss Jekill che si divertiva di più a far danni in giro.
Al secondo corroborante siero della realtà in profumatissima pasticceria ridondante di succulenti cilindrici bignè al cioccolato si arrese all’evidenza che sapere dove si parte ma non dove si va a finire  fa strani scherzi sia nelle feste di compleanno, che nei vagabondaggi di cinofila, come pure nella matrioska mentale del suo blog.





Bacco, tabacco e marte
Miss Jekill ha baciato un marziano pressoché sconosciuto un paio di settimane fa.
E nonostante costui abbia esordito insospettabilmente, chiedendo informazioni su di una mia amica, la Jolanda, per la quale soffrì silenziose ed ammirate pene d’amore in gioventù, quando i coetanei minorenni son trasparenti agli occhi delle femmine, ora si sta infilando nella mia, di vita.
O perlomeno ci sta provando.
Dopo esser stata garbatamente cercata, messaggiata e infine chiamata per augurarmi sganasciandoci entrambi un buon san valentino mi trovo carmenconsolatamente felicemente confusa.
E già il fatto che ci sia da pensarci, non è buono.
Ma, a voler speculare..
Pro:
Basta dargli una bella occhiata, pesante, davanti e didietro.
Ha la mia età, che presuppone abbia più o meno fatto le sue cazzate, e magari imparato qualcosa, tipo il rispetto dell’autonomia altrui, e magari potrebbe insegnarmene un paio anche a me, tipo chi siamo, da dove veniamo, come si cucina il filetto in crosta e cosa facciamo a sto mondo.
Non gli difetta l’intraprendenza, il ragazzo sa quel che vuole.
Bacia bene, cioè, mi è piaciuto.
Ero alla terza birra, quindi ottimista.
Contro:
Bello sovente equivale a vuoto come un secchiello.
I 30/40enni single di solito han una pelle cinica e spessa come rinoceronti, qualche ex troppo ingombrante che gli ha rovinato la vita e una serie di abitudini flessibili come una putrella da un metro e mezzo.
Non fuma e non beve.
Ero alla terza birra, quindi inattendibile.
Ecco. È quel non fuma e non beve che mi frena.
Queste cose non le faccio a metà.
Non ho granchè voglia di “se tu” e “ma io”.
Per una cazzona testarda che senza nicotina, un paio di volte nella vita, per qualche anno di buonsenso, si è trovata due taglie in più sulle chiappe e due tette da pornostar, qualcuno che non sa cosa sia la prima boccata di una sigaretta dopo aver fatto l’amore vive su un altro pianeta.
Per una cazzona fortunata che di mestiere parla con i produttori di alcolici di mezzo mondo e che apprezza dal cuore un buon bicchiere e il lavoro che c’è dietro, qualcuno che ordina all’aperitivo un analcolico alla frutta  con gli ombrellini di carta sarebbe un’onta.
Sto correndo troppo.
Magari questo vuole solo infilarsi nel mio letto.
Fuori discussione, ho ancora il segno di altre mani sulla pelle.
D’altro canto, una volta trovato quel che cerca, sarei sicura di levarmelo di torno.
E divertendomi molto di più che inventando meschine scuse di troppa attrazione che ha bisogno di tempo, o desideri di sentirmi sicura dentro, o rovinare bellissime amicizie (bugiardi, vergognatevi: chiunque si metta in gioco davanti a voi merita rispetto)
Quanta falsità nei minuetti seduttivi di un lui che finge di interessarsi ai macchiaioli  e invece mira a quella roba lì o di una lei che finge un’innocente virtù sporca come un paio di mutande tenute su una settimana. Romanticoni. Noiosi.
Chissà se porta i boxer o gli slip..
Martedì mi ha chiesto quando ci possiamo vedere, risposta: nel weekend.
Cerchiamo di capire cosa c’è nella sua testa, poi si vedrà…
Perché fumo? Già, perché... Ho iniziato al liceo, con altre 3 sciroccate che volevano sembrare furbe. E mi è piaciuto. Intanto quell’anno ci beccammo tutte un bell’otto in condotta. Una si è sposata e vive a Bologna, una uscita dalla comunità diventò ragazza madre, l’altra fu mia testimone di nozze e ora si è sposata per la seconda volta con un uomo che non ama.
Ho ripreso a fumare da poco, non mi piace, ma finchè non mi torna la voglia di smettere  alzo le spalle e me la faccio andare. Finchè non guarisce questa mia slogatura dell’anima, continuerò ad accendermi una stampella. Me la caverò.
La mia prima sbronza la presi a sei anni, ero sul sedile posteriore di un viaggio famigliare interminabile e decisi di assaggiare il grazioso campionario impagliato di maraschino posteggiatomi a fianco. E mi è piaciuto. Certi anni il vizio mi è stato un po’ troppo addosso,  esigente, costandomi innumerevoli smarrimenti di capi di abbigliamento, calze e un dente rotti, lividi e bernoccoli, un mignolo schiacciato nella portiera e un occhio nero. E non mi è più piaciuto. Adesso si è parecchio rilassato, forse sta invecchiando anche lui.
Posso capire e ammirare chi non fuma, si vive meglio.
Diffido di chi non beve mai, si vive a metà.
Chi non ha la curiosità di trascendere, di spingersi oltre al rigore della lucidità mi fa paura.
Non parlo degli scomposti tortini a pezzettoni che elegantemente ornano le strade la domenica mattina, della violenza inquieta e assassina che aspetta di essere irresponsabilmente scarcerata o del dolore dell’astinenza di un lutto che reclama il suo sedativo.
Parlo di provare ogni tanto a lasciare affiorare quella parte latente, così disciplinata dal quotidiano.
Ma forse ci sono schizofrenici frustrati come me, e forse ci sono esseri umani contenti così.
Che non vogliono rischiare di perdere il controllo, mai.
E questo un po’ mi insospettisce, che avranno da nascondere?
Come le persone che stanno sempre bene.
Sta bene solo chi non si fa troppe domande.
Chi non si fa domande secondo me è già mezzo morto.

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