mercoledì 7 dicembre 2011

archivio


il blog abbandonato
Mi ha lasciato l’indirizzo di casa, la sua vecchia casa.
Amo le case vecchie, l’odore di chiuso di altre vite, l’impronta di quadri e di mani sui muri.
Mi affascina sapere da dove veniamo.
Accomodati pure.
Così sono andata.
Indisturbata.
Non frugo nei cassetti, ma nelle vite sì.
Cercando di non fare troppo rumore, né lasciare disordine dopo di me.
Io sono una signora perbene.
Poca luce, ma sufficiente.
Il necessario per cercare di capire.
Ho respirato l’odore dell’estate senza il mare in quelle sue stanze, l’odore di uno scompartimento del treno, o di una classe di ragazzi il primo giorno di scuola.
Ho ascoltato il ritmato tuffo di un legno e uno stridore di ferro, il silenzio cannibale della nebbia, ostinate domande di tabacco e di carta che bruciano nel buio.
Di pedalate, passi e di polvere sulle scarpe.
Ho provato quelle scarpe, già grandi per quell’età. Ho sentito male.
Ho inspirato l’aroma di caffè molto amaro.
Il mio non lo è per niente.
Hai ragione, lo zucchero non basta.
Il sapore rimane. Rimane sotto la pelle.
Ho tremato per dolcissime lacrime, ormai asciutte, e sono fuggita per paura delle mie.
Tornerò, ora conosco la strada.
Tornano quando meno te lo aspetti, certe emozioni.

imperituro amore
come farsi passare la passione per la birra?
lavorare dalle 8 del mattino alle 7 di sera per mettere a posto i casini che fanno certi fornitori olandesi della sopraffina bevanda
ma io amo il mio lavoro.
da oggi ne sono certa.
le avversità mi temprano, rafforzano il mio sentimento.
mi fanno anche venire le vesciche da cornetta alle orecchie però.
e da lunedì mi accerterò che qualcuno, che adesso è a rosolare in ferie, sia fresco e riposato e pronto a dimostrare tutto il suo, di sedentario amore per la professione e robusto timpano dell'impiegato.

primav(v)era
La primavera mi fa strani effetti. Nuovi propositi fioriscono peggio che a Capodanno.
Ma il bello è che son sobria, saran tutti sti ormoni risveglianti, che sragionare mi fanno?
Vorrei imparare a suonare il basso, sentire quel suono nella mia casa.
Vorrei riuscire a modularlo come un tuo grugnito di  buon giorno assonnato dalla parte del letto ch’è ancora vuoto.
Vorrei riprovare a modellare il das, sentire l’impasto sotto le mie mani.
Tornare come bambina: pizzicare, spalmare e giocare con la pasta di altra pelle, finchè quella tua pelle poi non si arrabbi e mi venga lei a schiacciare.
O un corso per fermare in foto il colore di certi istanti, di risate per un niente, che scintillano come l’ultima neve al sole. Di quelli che ho dentro, ma che dimentico dove li ho messi, che razza di demente. Sono lì da qualche parte, nascosti da una lista di cose più urgenti da sbrigare. Invece di essere appesi in mostra, a riempire i muri dei miei giorni e delle mie sere.
Dovrei decidermi a imparare davvero a cucinare.
Senza pudore di farina tra le dita, sul tavolo e sul pavimento, o timore di afferrare un bel branzino, che sarà mai: solo un po’ più freddo, più viscido e ..spento. E poi riempire di dolcezza la cucina, di torte soffici di vanigliate carezze e pane croccante del profumo che solo tu hai. Cercando di evitare come al solito le ustioni, che quel dannato forno non c’è una volta, una, che mi perdoni, mai.
Ho anche quelle tre o quattro crepe da sistemare, sul soffitto, in corridoio e sul mio cuore. Una stuccatina, una bella levigata e una ripassata, di colore. Certo che con le tue mani magari, se ti va, beh, ecco, farei in due ore.
Al giardino penso io, tu puoi stare a guardare. Se proprio non ci riesco chiederò, ma molto per favore.
La macchina è a posto, le darò giusto una bella lavatina, in calzoncini e t-shirt bianca, il primo giorno di sole.
In casa non importa se c’è pelo e polvere, tanto torna subito, pazienza, ho imparato con grazia ad ignorare.
Molto meglio andare a spasso, con Rocco, al cazzeggio, tra starnuti di pollini e troppi sogni da avverare.


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