mercoledì 14 dicembre 2011

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bye bye baby
giovedì 21 giugno 2007 1.35
la mia cuccia su ruote sta posteggiata quì sotto, per la sua ultima notte.
ho pubblicato un annuncio due giorni fa - regalo Ka funzionante, astenersi se allergici peli di cane -  e nel giro di un'ora una telefonata incredula cercava già di portarsela via.
poi l'ho conosciuta, è una ragazza bionda, dall'aria gentile e dal piede piccolino, con troppe spese per via di una casetta nuova e una sorpresa in autostrada finita dal demolitore,  e un sorriso pieno di gratitudine per qualsiasi cosa che la salvi dal bus.
risiede nella stessa via dove ho abitato anch'io per tre anni con la mia auto, che da domani tornerà a lottare per un paio di metri di un altro marciapiede, ma che conosce bene.
vai veterana, fatti onore!


mezzosangue
martedì 26 giugno 2007 1.09
com'è che in sto paise do'sole mi danno della caustica british e in terra albionica passo per stilosa italica?
eppure le litrate/pinte di birra ingerite son sempre le stesse...
(cheers/cincin!)

EHR – Royal Ascot 2007
venerdì 13 luglio 2007 12.09
Sabato uno dei tanti validi motivi per cui quando smadonno (sempre più spesso ultimamente) come una carrettiera poi alla fine mi mordo la lingua ricordandomene mi trillò nell’orecchio per dirmi goodmorning madam.
Smarrita in tre piazze di materasso infatti mettevo a fuoco un camino candido, ben oltre allo schienale del divano ai piedi del letto, nella luce maldestra che filtrando dagli scandalosi sei metri di cinz fiorato di una delle due finestre rimbalzava dalla specchiera per schiaffeggiarmi per ogni volta che avevo imprecato alla volta di un mio fornitore.
Quella palletta di capelli scuri riflessa lì in mezzo a quel trionfo di satin crema e peonie di laura ashley e cuscini era probabilmente la mia testa.
E quei due buchi di mascara maledetto che non vien via manco con l’acetone erano i miei occhi gonfiati sicuramente dall’aria condizionata dell’alitalia, mica dall’ottimo bordeaux della sera prima..
E oggi si andava alle corse dei cavalli.
E allora – imprecando – rotolavo in bagno, a dare una sbirciata più da vicino a quanto avrei dovuto restaurare nel giro di mezz’ora.
Tempo di aver la meglio sul bollitore elettrico e un paio di rondelle di burro spacciatesi per biscotti, e poi leggere tutti gli avvisi possibili affissi in bagno atti a scongiurare incendi, evacuazioni di massa, o catastrofi ecologiche per aver sconsideratamente abusato di asciugamani, ed evitato di rompermi l’osso del collo per sfuggire nuovamente al geyser mannaro travestito da doccia, e la mia faccia da fois gras era ormai divenuta una quisquilia insignificante.
Nel senso che parevo tornata normale.
E pure pulitissima e pronta per altro cibo.
Puntuale come tutti gli altri sei ospiti, al tavolo della breakfast room, con la trascurabile differenza che loro stavano tutti incappellati, io (e mio fratello) in maglietta e jeans.
Ooops – i beg your pardon – mentre il sorriso della sfacciataggine dell’italiana fashion victim adduceva la vera verità: sono un’inetta col cibo prima del terzo caffè, e ho un solo abito per la giornata di oggi.
Così anzichè fugare l’educato stupore dei miei poveri commensali ho finito per seminare il panico, che ognuno a quel punto ha scorto il supremo pericolo annidato nel proprio piatto di fagioli heinz e ovette fritte (ne uccide più la macchia che il colesterolo).
Una ventina di minuti più tardi arrivava il riscatto della femmina sbrodolona e disfattista, al braccio dell’altro italiano invitato, mio consanguineo e omertoso alleato, io in scintillante verde erba da ippodromo (ho scoperto poi dalla mia digitale) e cappellino di farfalline e margherite e lui in tight d’ordinanza.
E pure con i denti spazzolati di fresco, noi.
Che passi che lì non usa il bidè (che c’era una dannata bilancia al suo posto), ma i pezzi di bacon tra i denti sulle foto ricordo non stan mica bene…
E si partì belli belli tutti alla volta del galoppatoio della regina.
Noialtri che di tradizionale figura in italia c’abbiamo il papa, e forse ormai pure l’andreotti, non ce la possiamo immaginare l’atmosfera che aleggia tra un accenno di pioggia e i boccali di birra già alle dieci e mezza del mattino a quelle manifestazioni di stato. Io stessa che in quei momenti invidio la tempra dei beoni, riconoscendo le mie mezze catene di dna, ancora ci ripenso a tutto sto svolazzar di dame coi loro copricapi di ogni colore e forma e spalanco la bocca, che era come un matrimonio gigantesco senza la messa prima.
C’è un misto di mondanità e irriverenza in quel popolo, che si tira a lucido per l’occasione di veder sfilare la monarchia e intanto non perde l’occasione di tornare a casa barcollando fino al taxi con le scarpe in mano.
Ovviamente nessuno di noi forestieri è stato da meno, per una volta io ho fatto un’eccezione e con le vagonate di cibo sopraffino ho sorseggiato solo champagne, dall’aperitivo all’ora dell'afternoon tea nel nostro box riservato. Così ho pure scommesso alla cazzo di cane, prima tra di noi, sul colore del cappello della regina, poi sulle sei corse, alla faccia della parsimonia genovese che è finita annegata nel secchiello del ghiaccio.
La Betty era in rosa, e quindi niente ricompensa per il mio audace pronostico di tenue mandarino, ma coi quadrupedi ho vinto la puntata secca sulla seconda gara: recuperando metà della spesa più l’inestimabile emozione ridereccia di incitare e riscuotere le mie onorevoli sventolanti otto pounds e 50 pence.
E manco ci siam negati poi quella di fermarci prima di tornare all’albergo, tutti a cantare a squarciagola le canzonette della banda, assieme ad altri mille elegantoni sbronzi, che lì son organizzati e ti danno il libricino coi testi, e magari fanno anche il bis.
Non sono sicura io di aver la fortuna di bissare st’esperienza incredibile nella vita, ma se non fosse il mio fegato di certo mi direbbe thank you.
Forse è il caso che per ora non sappia che domenica prossima siamo a un devastante ricevimento di nozze, che se potesse si infilerebbe col vestito nella sacca pronta per la lavanderia...

le nozze di (un) Bischero
mercoledì 4 luglio 2007 1.11
Così arrivò il momento che nessuno ci aveva creduto.
Che il nostro amico (dato per disperso ormai da diversi mesi) coronasse il suo sogno di cuor di donnaiolo cazzaro e si facesse portare all’altare felice di andarci.
E invece eccoci tutti elegantissimi e sudati con cornetti di cartoncino candido e riso colorato a non farci beccare a far foto alle mise dei parenti della sposa, che da sole erano valse la gita fuori porta.
Che in realtà la graziosa chiesuola è topograficamente parte della nostra cittadina.
Solo che nessuna di noi si era mai spinta fino lì, in cima ad una creusa col 45% di pendenza, sotto l’arsura del pomeriggio di inizio luglio e il fondotinta effetto velluto bagnato.
Manco lo stradario on line era riuscito a svelare il percorso per sta caccia al tesoro in abito da sera, che alla fine gli unici due vecchietti nel raggio di chilometri han deviato dalla loro destinazione di pellegrini da cimitero e mi hanno fatto strada, che per ringraziarli tanto a momenti tampono la spider della sposa..
Ma  a complicarmi la vita domenica c’era già stato un rientro a rotta di collo e cuore spezzato dalle montagne lasciate fresche di baci per finire nelle braccia soffocanti di un famigerato blocco della viabilità in centro per dannata gara ciclistica.
Insomma che se non fosse stato che c’erano le mie girls, belle bellissime la Jolanda e la Ines in colori da cioccolato di raso al latte e fondente, la Miriam in cady di pesca e la Tina in macramè vintage di ciliegia maraschina, avrei rinunciato da vile, anzichè litigare ostinata e furibonda per un posteggio in un quartiere dov’è noto che volino coltelli piuttosto che confetti, per poi finire esausta ad assecondare la violenta insistenza della perpetua ottuagenaria che mi volle a tutti i costi seduta nell’unico posto libero, accanto a lei e la sua coetanea amica del cesto delle offerte.
Così invece di svignarmela indecentemente a fumare nella brezza del sagrato coi bambini rumorosi e gli altri tabagisti atei, ho ascoltato sudando buona parte della funzione, con una mano inchiodata a censurare almeno uno degli spacchi scivolosi di seta della mia lunga sottoveste, l’altra intenta a salvarmi dal soffocamento avvolta da una strisciola di garza di cachemire, urticante sopra i 23°, e un occhio scandalizzato per i salami fatti a forma di schiena di donna insaccati da reggiseni e mutande troppo strette e tessuti traditori da ghingheri festaioli nelle file davanti.
Al momento tattico della comunione ho riguadagnando l’uscita complice il movimentarsi dei fedeli (quelli veri) e la momentanea pia assenza della mia carceriera.
Che non sono proprio tipo da messa io, ma manco mi va di far soffrire la gente aggratis.
Epperò se dovessi dire, la sposina non è che mi abbia fatto un gran sorriso, quando finalmente dopo le feste (e i bonari insulti) fatti al neo maritozzo, mi sono presentata per far finta di baciarla. Mi auguro che il ragazzo non le abbia mai parlato di me…
E comunque: bella, giovanissima e adorata, mi sarei aspettata più gioia su quel visino, invece di quello sguardo da piccolo fuhrer.
Forse che appunto per sfuggirle, la congrega degli “amici di lui” è rimasta un poco di lato sulla scena dei festeggiamenti.
Che se non fosse stato per la battaglia di fiori, pane e segnaposto che i nostri tre tavoli ha scaraventato per aria già al primo giro di portate probabilmente nessuno si sarebbe accorto di noi.
Io invece mi sono accorta con un po’ di tenera amarezza di quando lo sposo sbronzo è stato redarguito dalla giovane consorte per essersi lasciato lanciare in piscina, e poi far bordello in ciabattine di gomma coi suoi compari, cercando inutilmente di convincere barcollando il suo parentado acquisito almeno a danzare, che era in fondo come ce lo ricordavamo noi, prima di lei.
Alla bella Ines la palma dell’epitaffio della serata: non ho mai beccato così poco ad un matrimonio.
E per forza: tagliata la torta, pure gli invitati han tagliato la corda.
Che il giorno dopo si lavorava.
E per qualcuno che adesso pensa solo al viaggio di nozze iniziava un altro tipo di lavoro, molto più impegnativo e duro.
Io invece alle tremezza di notte mi sarei tagliata i piedi, se avessi potuto, dopo l'ultimo miglio sui tacchi dal posteggio a casa, ma mi servivano ancora per portare fuori il mio rosso bestino piscione.

quanto brucia quella prima volta..
martedì 10 luglio 2007 10.56
antigraffio ero sicura, che son un paio di settimane che ci sto attenta.
e lo sapevo che proprio quando mi sento sicura, son certa che non lo sono.
insomma che ho ceffato di un cinque, sei centimetri sul davanti.
così: muro.
paraurti vergine sgraffignato.
soffiatina, carezzina, lacrimuccia e insulto.
piegata a novanta nella sofferenza dello scrutinio, colla portiera spalancata e l'emiuainaus che urlava che era nogood.
e lo so anch'io che sono nogood.
la prossima volta la prendo più larga.
son sicura.


easy dreamer
giovedì 5 luglio 2007 23.51
fatto un sogno strano stanotte.
mio padre avrà avuto si e no trent'anni, bellissimo, secco secco e vestito da fighetto anni settanta alla Celentano col borsello.
e mi regalava una vespa 250 rarissima che avrà avuto si e no trent'anni, favolosa, tutta restaurata ch'era un gioiello, color crema, melone e cromature, e pure le nappine con le stelline penzule dal manubrio (quelle che aveva la mia prima bici!)
solo che non c'erano le ruote, era piatta come una moto d'acqua, ma era così bella che, per paura dei ladri, la volevo a tutti i costi in giardino.  così m'è toccato spingerla fino a casa (quella di adesso, sul monte mannaggia).
che fatica, ragazzi.
e mica c'era più stamattina.
per riprendermi mi c'è voluto il doppio dei caffè oggi, e c'è pure scappato il pisolino nella pausa pranzo.

zero sette zero sette
lunedì 9 luglio 2007 23.28
m'è passato un pò defilato quest'anno questo giorno, sgattaiolando tra le gambe, sfiorandomi appena un polpaccio.
o forse in mezzo ai piedi avevo dell'altro e allora ho spostato mentalmente il fatto, con un calcetto lieve, che poi tanto sapevo che il ricordo sarebbe tornato.
sono passati già due anni da quello che ancora vivo come il giorno in cui ho fatto del male, senza volerlo, a chi non se lo meritava.
si dice sempre così dopo: se solo lo avessi potuto immaginare.
e invece dopo impari ad immaginare sempre il peggio.
ero a spasso per negozi a toccare tutto senza comprare niente, e già per questo qualche commessa mi darebbe volentieri la sedia elettrica (visto che ormai il casco delle parrucchiere non s'usa più).
con il mio fido quadrupede al lazo, probabilmente scoglionato come qualsiasi maschio sarebbe nel caldo di luglio, se dovesse scervellarsi sulla tonalità di un rosa polvere o un acquamarina che a te donerebbe divinamente con un'abbronzatura da mykonos invece di potersi fare una bella corsa a sudare dietro una palla.
 fatto sta che un'altra femmina, a forma di palla di pelo gli è capitata a tiro.
e nella frazione di secondo che ti serve per sorridere alla ragazzina dall'altra parte del guinzaglio e chiederle come si chiama il suo batuffolo, ecco che il batuffolo è diventato un tre etti di ovatta in un lago di rosso, con due pallette nere fuori dalle orbite e una zampetta posteriore che scatta senza senso come la lancetta inceppata di un orologio che non torna indietro.
la creaturina ci ha messo tre giorni a spegnersi, tre giorni di pellegrinaggio in un ambulatorio veterinario dove ho pagato senza fiatare sentendomi la proprietaria di un pitbull, invece che di un setter che ha paura dei piccioni e delle suore, scoprendo pure che la ragazzina era straniera, orfana sola al mondo e che la cagnolina era il ricordo della madre.
tombola: insomma che le cose quando si fanno, s'han da far bene no?
il mostro s'è sparato lo psicologo canino (altra salassata), svariate analisi del sangue, raggi al cranio e una bella museruola, e infine i domiciliari forzati quando mi prude la carta di credito, che comunque ormai mi guardo bene dall'estrarre anche solo nei pressi del famigerato luogo del delitto, privandomi di libidinose incursioni persino nei saldi più stracciati.
che anche se mi si è detto che fu un raptus, che la piccina fu probabilmente scambiata per una coniglietta (e qui torno a ribadire che il mio l'è proprio finocchio...), che i cani son cani e non lo si poteva immaginare, in cuor mio penso che se quel giorno mi fossi privata del piacere di averlo accanto, qualcun'altra oggi potrebbe ancora preoccuparsi di a quale guardrail legare il suo prima della fine del mese.
sicchè quando sento dire che il 7 luglio (e quest'anno specialmente) è una data fortunata, mi assale un dubbio invidioso: ma per chi, per i veterinari?

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