mercoledì 7 dicembre 2011

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natura matrigna
A dispetto della mia tirannica misantropia e conseguente scrupolosa preparazione atletica mi arrendo all’evidenza di dovermi assolutamente trovare un uomo, entro la prossima primavera.
Che 25 chili di stallatico sulla schiena non fanno piacere a nessuno.
Soprattutto se quel nessuno abita in una deliziosa e tipicamente genovese “creusa” che dista una cinquantina di metri, a forma di gradoni cotti con una pendenza del 45%,  dalla più prossima strada carrabile.
Se poi ci metti che l’unica volta che trovi posteggio il più vicino possibile, e decidi di portare a casa il pesante e fertile bottino hai le scarpe nuove e il cinturino dell’orologio ti sguara il sacchetto che ti sta ansimando addosso, così ti sbricioli letame lungo il fianco sinistro fino ai piedi, ecco che il progetto di schiavizzare un altro povero bipede, abindolandolo col miraggio di calzini appaiati, mutande stirate e due pacche sul culo quando le delusioni calcistiche lo hanno tramortito, ti sembra tutto sommato un prezzo onesto.
Ma quello che mi fa veramente incazzare, è che la natura non solo è iniqua, con le femmine dalla testa dura.
No, è veramente bastarda.
Perché oltre a farle gracili, le ha fatte irrimediabilmente vanitose e schiave della moda.
Possibile che nel momento della sofferenza i due centimetri di mia schiena scoperta siano diventati un lauto banchetto per le zanzare?
Ma a quelle stronze ingorde, la cellulite, no, mai?

ricadute pelose
Manco l’ho sentito stamattina, che arrivava il messaggio, lo vedo ora.
Ma già che ci vuol tutta che senta quando squilla, figuriamoci un sms.
Ne sa qualcosa quel pover’uomo della Telecom (uh – domani c’è il gemello Fastweb) che m’ha inseguito sconosciuto tre giorni, non potendolo io richiamare.
Mi cerca una cara ragazza, la capisco, mi fa tenerezza.
Insiste, ma io non so che dirle, non so ancora che farò.
Forse non ho voglia, tutto lì.
Credo di farlo apposta.
A non sentire, dico.
E non per colpa delle vesciche alle orecchie che mi vengono in ufficio.
Temo proprio che sia parte del mio caratteraccio di lupo, e sta peggiorando con l’età.
Non telefono mai, tranne quando ho qualcosa da comunicare, nemmeno ai miei genitori, che infatti si preoccupano se vedono il mio nome sul display.
Eppure amo il branco a cui appartengo.
E a dirla tutta manco sono particolarmente entusiasta che mi si chiami, anche se poi magari trovando la telefonata mi faccio viva io.
È che non mi piace sentimi braccata.
E qualche volta le insistenze di certa gente mi fanno sentire proprio così: legata.
E allora mi divincolo e sfuggo, mi allontano.
La domanda “tu cosa fai sabato prossimo?” mi fa sudare.
Nel 90% dei casi è seguita da propositi impiccioni di organizzare la mia giornata secondo ritmi e necessità altrui.
La mia risposta è quasi sempre “Boh, ci sentiamo poi”. 
Non prendo impegni a lungo termine, non voglio dover rendere conto dell’umore che avrò tra una settimana. Adoro svegliarmi e decidere al momento del mio tempo libero, discutendone con gli occhioni nocciola del mio canetto in base al sole e alle ore di sonno. E non mi piace deludere le aspettative di chi mi ama.
Questo non significa che io non ami.
Semplicemente preventivamente impedisco loro di restarci male, più amore di così…
24 ore è il tempo giusto, e magari sarò io stessa a ricordarglielo.
A meno che l’organizzazione non implichi tempi più lunghi.
Perché se ho acconsentito, non do mai buca. Non capisco le persone che dicono sì sì  e poi all’ultimo momento cambiano idea, così.
Con affetto mi unisco volentieri a buona parte dei passatempi delle mie femmine, divertendomi un mondo con loro.
Ma loro non insistono mica. Ed è questo che me le rende così speciali.
Il rispetto per gli spazi altrui.
Rendersi conto che un “non mi va” non implica necessariamente una critica.
È solo una mia scelta.
Che andrebbe invece capita anche da molte altre persone.

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