mercoledì 7 dicembre 2011

archivio

bianca e nero
Venerdì uno straordinario numero di fascinose femmine e streghe si riuniva per festeggiare un lieto evento poco dopo aver chiuso pratiche, cassetti e pc di un’altra settimana lavorativa eroicamente terminata.
Il compleanno della bella Ines, e altri dodici mesi splendidamente spalmatile addosso senza rughe.
In quella che è diventata la seconda casa, il nostro Corat, solito ritrovo di peccatrici della domenica appoggiato alle pietre millenarie della chiesa di fianco. Grazie al Berto per la paziente e sempre onesta ospitalità!
Corroborate da abbondanti mattonelle di lasagne, sorsi e sorrisi le pie femmine si sono cimentate in canti del caso e ululati di ammirazione per aver inconsapevolmente scelto uno sfavillante paio di orecchini color dell’ambra. Grazie Jolanda per il tuo buon gusto!
Qualche ora dopo il gruppo profumato si è sciolto alla volta di dimore coniugali, ristoranti e altri bar.
Una ben nutrita e insufficientemente bevuta falange si è quindi diretta tacchettando lungo il vicolo che porta al mare ad annusare l’atmosfera alternativa di fritto abbrustolito del Burntfood  Boozer.
Lì miss Jekill, preso possesso di un angolo perfetto da riadattare a banco da mercato di borse e cappotti, si accingeva a godersi la sua media in saporita e curiosante tranquillità indagando sulle componenti circostanti.
Strinse educatamente la mano all’amica di un’amica di boh, una silenziosa femmina magrolina dal caschetto biondo e un occhialino rettangolare che pur tradendo la professione di farmacista, mai nella vita avrebbe destato sospetti su come in realtà la signora curasse certi dolori di cuore dovuti all’età.
Al suo secondo bidone di caipiroska infatti le si sciolse la lingua e intavolò un illuminante dibattito sulla sua attuale condizione sentimentale, che l’aveva trattenuta dal conoscerci prima.
La strepitosa e irreprensibile matura donna di medicina intrattiene infatti ormai una consolidata convivenza con un ragazzo senegalese più giovane di una dozzina d’anni, conosciuto ad una festa poco dopo il suo divorzio.
Sticazzi.
A miss Jekill gli si è arricciata la trenta euro di taglio e piega appena fatte, la Tina a momenti non si sfracella la mandibola, recuperata prima che toccasse il pavimento lurido, la Wanda credo che gli occhi non le siano ancora tornati al loro posto. Abbiamo ingoiato un alta sorsata e perduto istantaneamente ogni interesse per i maschietti puntati fino a quel momento e ogni inibizione nella assolutamente necessaria più approfondita indagine di questa incredibile storia.
Apparentemente il trascurabile scoglio per la serenità della coppia sembra essere il rifiuto dell’accettazione da parte della famiglia idrofoba di lei e la analcolica religione di lui.
Roba da nulla.
Visto che la professione le garantisce totale e abbondante affrancamento, addirittura doppiamente generoso, in certi casi di affitti e bollette, e che – ma và? – certi passatempi domestici sopperiscono ampiamente alle mancate serate al bar, che comunque l’arzilla e ottimamente conservata quasi cinquantenne non si nega del tutto.
Sono sbalordita.
Pensavo che prima o poi avrei chiuso in cantina Miss Jekill.
E invece ne ho conosciuta una che mi dimostra che le teste di cazzo non hanno età.
E anzi, che ce n’è di quelle ancora più pazze, o buongustaie.
Non ho grossi problemi con le differenze d’anni, io per prima sono spensieratamente kidult e vanto una pessima reputazione tra i miei rispettabili e smidollati coetanei.
Invece l’esperienza black mi manca.
Nel senso che non ho mai incontrato un ragazzo di colore che mi stuzzicasse di esplorare così approfonditamente, anche se la leggendaria dotazione da materasso non può certo scivolarmi addosso senza farmi alzare un sopracciglio.
Ma forse per sollevarmi la gonna ho bisogno di qualcosa in più di un sorriso accecante e una pelle di velluto nero per una notte, e di una conciliabilità meno rigidamente esotica per slacciarmi il cuore.
E siccome musulmano mi suona ancora troppo come sultano, preferisco pensarci ancora un po’, che se è vero che "once you go black... you never go back"...




cancelli
Venerdì si partì in mille femmine per la guerra alcolica, ma si finì sola.
A poco a poco che le ore passavano la compagnia delle girls di miss Jekill, si assottigliò come lo strato del suo fondotinta, mangiate dal sonno, dagli impegni dell’indomani e dalla folla che le ha nascosto persino il fulgido elmetto ramato dell’irriducibile guerriera Tina.
Quest’ultima era scomparsa alla volta del bagno e mai più tornata, con tutto che miss Jekill dopo aver ricevuto il terzo fendente sullo stesso piede era salita fin sul palco della Palude a dimenarsi più spaziosamente in mezzo a un protettivo paio di medie chiare di sua vecchissima e affettuosa conoscenza, dai tempi del catechismo e della cresima: Primoamore e Furbizio.
Furbizio era in splendida forma quella sera, elegantissimo con la camicia abbottonata storta, la cintura che pendeva dai calzoni e il blazer arrotolato in vita. Non c’era verso di tenerlo fermo, e tormentava chiunque gli venisse a tiro, un portiere, non se ne lasciava scappare uno, offrendogli con le sue mani e la sua erre moscia un soRRso di biRRa in cambio di un soRRiso, dai su, peRfavoRe. Femmine e pure maschi. E toccò anche noi, i suoi due vecchi amici, rimasti con lui dopo che la moglie, distrutta dal ridere e dalla stanchezza, se n’era graziosamente andata a casa, affidandocelo facendoci vivissimi auguri.
Primoamore invece era il solito patatone, teneramente divertito e gonfio pure lui. Di birra e di orgoglio. Mi ha sussurrato fiero e bugiardo il suo imperituro affetto, confessandomi l’onore visionario dell’invidia degli occhi che vedeva solo lui intorno, sfiorandomi forse un po’ troppo audacemente il culo con la complicità che l’alcool e il  passato sentimento gli permettevano eccezionalmente quella sera. Giù quelle mani ragazzo!
Ci sono cancelli - di robusta e accurata fabbricazione artigianale - che non si aprono a calci maleducati o attaccandosi al citofono di discorsi sbruffoni. Non hanno una serratura che si possa forzare a birra qualunque per arrivare ad annusare più da vicino certi giardini (a proposito, ieri mi son sentita chiedere tre volte che profumo uso: no, non è rosa. E non ve lo dico cos’è, sono molto gelosa) salvo che non si sia espressamente invitati, o molto galantemente competenti.
Intorno ai nostri balli cretini, le nostre risate sbrindellate e ai nostri abbracci camerateschi, in effetti c’era una piccola selva di punti interrogativi, perché il tempo che arricchisce la nostra vita, in certi casi è piuttosto bastardo con le questioni tricologiche e di giro vita degli ometti.
Ma la chiave di Primoamore gliel’aveva data sedicenne la padrona di casa, e anche se era ben nascosta dagli anni e dall’aspetto, con certi cancelli funzionava ancora.
La serratura del cuore (e quella della camera da letto) invece, quella era stata cambiata diverse volte.
L’ultima che non è molto, e ho ancora io il doppione, da qualche parte…

opinione opinabile
Domenica ho lavorato, a casa in serenità, senza quel dannato telefono che mi tira per un orecchio ogni volta che sto spremendomi il cervello.
Lunedì sono arrivata in ritardo, assolutamente innocente, colpa di Rocco, ammaliato da una bionda sotto casa, una golden di due anni che lo ha irretito con i suoi occhioni di velluto spalmata in mezzo all’erba a zampe larghe… come facevo a tirarlo via?
Domani (oggi per voi) mi aspetta una mattina dura.
Un anno di lavoro per me e la mia squadra passati al pettine da uno sconosciuto certificatore.
L’inventario di magazzino di merci che movimentiamo per conto di una multinazionale olandese.
Non mi aspetto che vada tutto liscio.
Come al solito ci si riduce all’ultimo (non noi) e non tutto corrisponde, fatture arrivate troppo tardi per essere evase, inversioni di articoli inviatici ed altre amenità.
Sono orgogliosa del lavoro che hanno fatto i miei ragazzi in magazzino.
Sono consapevole dello sforzo in più che il più brontolone ha fatto per non rompere le balle, che il nuovo arrivato ha fatto per imparare, che il più spesso ha fatto per non sbagliare e che il più furbo ha fatto per non stare a casa in malattia.
Sono consapevole della pazienza e della perizia dei ragazzi del logistico, che hanno fatto i salti mortali per incastrare le consegne a lunga distanza con il nostro serratissimo lavoro di routine delle forniture alle navi, soprattutto in previsione della prossima festività.
Sono ancora scettica sull’effettivo beneficio di Sap come gestionale, la flessibilità vitale per un buon servizio è venuta meno, anche se comprendo le necessità di centralizzazione di chi lo ha adottato.
Non mi interessa a questo punto l’opinione che può aver di noi un inquisitore prezzolato.
Io so, quello che c’è dietro, e tanto mi basta.
So che quello che mi rode è non riuscire a dimostrarlo.
Questo non mi mette al riparo da quello che prevedo sarà un brutto quarto d’ora, ma nemmeno mi impedisce di godermi un lunedì sera rilassante a pestare i quadratini della mia tastiera, tra uno sbuffo di fumo e un sorso di teroldego, assaporando la prossima quindicina di giorni senza il boss, che se n’è andato in vacanza, beato lui, e consorte.
Sarà triste senza i pacchetti a sorpresa che manda la mamma, che mi salvano dalla fame nera.
Sarà una tortura per Rocco, che dovrà rigare dritto senza i vizi del suo alleato più potente.
Sarà stimolante per me e mio fratello, mandare avanti la baracca, sapendo che c’è gente che esegue, e si paga il muto di casa fidandosi di noi.
Sarà invece una pacchia per voi, che mi leggerete un po’ meno.
Forse.

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