mercoledì 7 dicembre 2011

archivio


guastafeste!
dolce la compagnia di un fratello sincero per le pause pranzo in  palestra...
un fratello sincero, con ottimo spirito di osservazione e buona memoria.
che torna utile quando io mi incantassi a fissare qualcuno.
e lui mi informa che certa gente appende le mutande alla rovescia.

verde relax
C’è una novità nei corridoi dell’ufficio governativo questa settimana.
un piccolo divano in pelle.
In pelle verde scuro, composto, elegante.
Rilassante per chi aspetta fuori da una porta perennemente chiusa.
Spero tanto che non se ne abbia a male.
Che non si offenda.
Il premuroso e ignaro funzionario, arredatore per un giorno, che ce lo ha collocato.
Quando mi ci siedo paziente, accavallando educatamente le gambe.
Se intanto sogno di inseguimenti divertiti per quei lunghi corridoi.
Di tacchi rapidi che risuonano nella penombra.
Di altri passi, più lunghi, più decisi.
E sempre più vicini.
Di finta sorpresa senza fiato quando finalmente si lascia afferrare.
E che ci si lascia piegare sopra, ridendo soffocata.
Ci si potrebbe affondare, in quel verde.
In quella pelle.
Con distratta e prepotente dolcezza.
Forse era meglio appoggiarsi al muro.

la (desolante) quiete dopo la tempesta
Venerdì miss Jekill ha sperato fino all’ultimo di riuscire a staccare dalla scrivania prima del solito, complice un sollievo di silenzio telefonico e ultimissime faccende anticipatamente concluse.
Invece no.
Serrò a chiave la porta dell’ufficio con puntuale scrupolo alla solita ora, salutando il sole appassito ma ancora per aria alle 18 e l’arrivo di un santo weekend pasquale.
Uscì di casa dopocena, prendendosela con calma come una lunga doccia e comoda come un paio di jeans e un tacco a prova di lastricato genovese.
Il gruppo delle sue donne, duramente decimato dalle festività incombenti, era più che sufficiente a tirarla via dal divano e la paura di finire sepolta viva alla sua età bastò a darle l’ultimo spintone verso la serata.
Serata comunque assai tranquilla, di chiacchiere statiche a un tavolino, con la Franca e la Ines, interrotte dal drammatico smarrimento di un orecchino della Wanda e qualche sigaretta con la Jolanda tra un birra e l’altra.
Un appuntamento volante con giovane donna poco conosciuta però occupò parte della prima serata e dei suoi pensieri il giorno seguente.
Trattasi infatti di conoscenza occasionale, un’amica “da palestra”, con cui lo scambio distratto di qualche parola tra una sudata e una spalmata di crema stride sottovoce con l’intimità imposta dagli spogliatoi, che ti ritrovi a parlare del tuo cuore di fronte a una sconosciuta nuda.
Curioso poi ritrovare la stessa persona che per mesi hai visto in tuta o in abiti da lavoro, tutta femminosa in svolazzanti ghingheri e scintillante lip-gloss.
Carina, la fanciulla.
Dolcemente coraggiosa nel suo avventurarsi in bar (e compagnie) ignote.
Salvo scoprire presto, sedute silenziose accanto a lei, il perché.
Due sue amiche, dallo stesso colore artificiale di capelli, espressione di annoiata sciatteria e professione da monosillabi e turni domenicali.
E il recente ritorno alla condizione di single solo della da me più conosciuta delle tre.
Avevo vagamente raccolto indizi in quel senso tra una serie di addominali e una ri-vestizione, ma non avevo compreso la desolata disperazione del caso fino a ieri sera.
Nell’impeto  della costruzione di un rapporto sentimentale troppo spesso vedo sbilanciarsi pericolosamente verso il partner l’intera vita mentale e sociale di tante donne.
Trascorso il primo periodo di assestamento, molte femmine migrano verso amicizie, abitudini e gusti dell’uomo di turno, rapite da quello che sarà (in cuor loro) l’uomo della loro vita tralasciando il trascurabile dettaglio di esser loro stesse in procinto di sopprimerla, la loro stessa di vita.
Un atteggiamento miope da capretta sacrificale che riconosco anch’io di aver in passato sperimentato. E il pugno di sale e lacrime di solitudine che ti resta insieme ai cocci di una storia finita lo custodisco ben in vista sulla mensola dei miei ricordi.
Mi guardo bene adesso dal permettermi di dimenticare amicizie ed interessi, troppo occupata da un sorriso eterno di passaggio. Il cuore delle donne è grande, è elastico ma è fatto di carne.
E a lungo andare le amiche si spazientiscono e smettono di cercarti e di essere amiche.
E a lungo andare le tue passioni trascurate in favore di quelle del tuo lui smettono di bruciare, e si spengono, come la luce negli occhi di chi vive in funzione dell’altro.
Può volerci mesi, o anni, a dimenticarsi di essere due persone distinte e diventare noiosi.
Ma se ci si impegna prima o poi ci si riesce.
E a quel punto qualsiasi gonnella appassionata di punto croce sarà più intrigante di te.
E a quel punto te la devi tirare fuori anche tu la gonnella, e andare a scovare le altre, dovunque tu le abbia perse. E sperare che ti sorridano ancora.
Noi sorridiamo, e facciamo sempre il tifo per le ragazze che si rimettono in gioco, è successo a tutte.
Però ci devi prendere per come siamo, indipendenti, col tempo capirai perché.

anima e corpo
Ci risiamo.
Sabato mrs Hyde è partita alla volta della Feltrinelli, con tutta l’intenzione di procacciarsi un paio di libri con cui godersi la meritata quiete domestica e tacitare certe spinose scoperte di ignoranza tardiva.
Ma finì poi fiera per scivolare, col suo sacchettino di cultura più pesante del previsto, nella mecca adolescenziale di fianco, l’H&M, attratta dal miraggio del solito vestito rosso (che è rimasto tale) e rimanendo invece impigliata in un paio di jeansetti stretti stretti e una maglietta a righe da ragazzina.
Come dire, il cervello vorrebbe progredire verso una consapevolezza più matura, ma il mio senso della moda sta testardamente resistendo, in senso inversamente proporzionale.

la pulce (nell'occhio)
Domenica mattina di buonora una certa signora spaparanzata sulle panchine del parco ingannava il tempo aspettando l’effetto del suo terzo caffè interessandosi di un giornaletto abbandonato.
Trattatavasi di copia omaggio di inserzioni economiche, magra ma unica consolazione della saracinesca abbassata del suo edicolante di fiducia, e poca voglia di far duecento metri per ingrassarne il concorrente.
Una cara amica l’aveva giusto resa partecipe il giorno innanzi del crudele intendimento di sfratto notificatole dal suo padrone di casa entro settembre, e quindi mrs Hyde provò molto interesse per quel gioco casuale del destino che gliene prestava una copia stropicciata, ficcando il naso a distanza di anni nel gioco al massacro che è invece la ricerca di una casa.
Ci fu il momento ormai lontano quando le espressioni subdole degli annunci immobiliari non avevano segreti per lei, un tempo però quando si parlava ancora in lire, e le sorprese orripilanti potevano essere lentamente assaporate nell’attesa di visionare grotte e catapecchie da sogno.
Trovo un sottile e perverso sarcasmo nel numero di zeri che concludono brutalmente le declamate balle incantatrici, frantumando l’ostinata buona fede di chi “amatore del particolare o caratteristico” non si lasci intimorire dal dover “personalizzare” uno spazioso box al settimo piano senza ascensore, per trasformarlo in un piccolo paradiso.
Io ci misi un anno a trovare il mio di paradiso, cavandomela con una cifra onesta e tanto eco per i primi mesi. In quell’anno perfezionai l’immobiliarese, perdendo tanto tempo e spesso la pazienza.
Auguri Ines, soprattutto perché dopo l’immobiliarese, ti toccherà il bancariano e il mobilesco, due dialetti altrettanto divertenti.
Finiti gli annunci da colpo al cuore, cominciava la sezione dei cuori spezzati.
Forse è cinismo, forse lo scetticismo ispiratomi dalle pagine precedenti, ma non son proprio sicura che tutte queste persone così mediterranee e giovanili, così timide e semplici in cerca dell’anima gemella non abbiano anche loro un proprio idioma.
E mi vien da sorridere, a sentirli, col loro “fregaturese”… 

Nessun commento:

Posta un commento