mercoledì 7 dicembre 2011

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radiohead / bodygym
I’m late on the runner.
I’m cross, I’m angry, I’m mad.
I’m breathless, I’m yearning,  I’m bitter about a man.
Thom (Yorke) creeps into my body, unwinds my mourning soul:
I want to be that feather, an angel of my own.
I want an answer that is not to be known…
I’m running to nowhere, I’m dancing alone.
You’re in me, I feel you, I’m floating away,
I want to be special, damn fucking special someway!
You grab me and shake me, you’re making me sweat.
Few minutes to go,  to get back in command,
my body obeys me, now I know where I stand:
the power in my thighs, in my clenching hand.
I’m heavily breathing, I’m tasting my own fight,
your karma police sings to my blue eye’s twinkling light.
I quit my workout, I’m hungry, I’ve won, I’m done for today.
A warm shower caresses me, now rinsing my salt,
licking my sorrow, the wounds of my thought.
Then suddenly smiling rod stewart appears to my ears,
from the next door pool, asking if  he’s sexy to the acquagym whales!!!

intima geologia
Qualche anno fa fui descritta: “tipo interessante, ma sempre incazzata”
Liquidai il pensiero, all’epoca, interdetta, con un’alzata di spalle. 
Forse l’ho capita stasera, in parte.
Ho caricato la lavabiancheria scura, di indistruttibili canotte e calzoncini da palestra, completini di trine impalpabili, scheletrini ricurvi di pizzo di carbone, francobolli triangolari color notte, fazzoletti di tessuto nero a forma di gonna, ancora odorosi di weekend.
Ho lavato la tazza della colazione, e un solo cucchiaino, ho riposto un coltello asciutto nello scomparto ordinatamente sovraffollato di coltelli di ogni misura.
Ho sistemato accarezzandole quattro paia di scarpe nuove, femminili, tre delle quali belle cattive.
Ho appeso con noncuranza maliziosa un altro frustino.
Ho coscienziosamente asportato una lacca color sangue dalle mie unghie.
E ho visto, forse, cosa vedono gli altri, da fuori.
Quello che chiaramente fino ad oggi non ho voluto vedere io.
Io non ho vuoti silenziosi dentro, in cui perdermi, inerte.
Io covo lava. Non fa fiamma, scorre lenta, un rombo sordo.
E dove riesce, quando e come può, emerge in superficie.
Aggressività latente, che si manifesta con piccoli zampilli, scenografici, se sei a distanza di sicurezza, nel buio notturno.
Coltelli, frustini, corsetti, lacci, tacchi a spillo, rossetto vermiglio.
Nessuno sano di mente si avvicinerebbe troppo.
Alcuni, affascinati, percepiscono il fuoco, quel tanto che basta.
Poi arretrano impauriti, scappano senza tentare di andare più a fondo.
E questo non fa che aumentare la mia rabbia.
E la mia ricerca di un fiume, un fiume di risposte.
Che non trovo, per spegnere questo rombo inquieto e incandescente.
Risposte che mi conducano a un oceano, di acque profonde, potenti, immense.
Per far affiorare finalmente quella parte più dolce, più morbida e docile.
Che so essere in me.
E diventare terra, fertile, accogliente.
Forse non è ancora tempo, che smetta di bruciare.
Quest’anno poi sembra essere alquanto siccitoso.
Avrò ancora molto bisogno di amici rabdomanti.



Pink Kastorama
Nella pausa pranzo mrs Hyde oggi ha deciso di glissare sulla palestra per certi suoi disagi mensili che finalmente spiegavano scorpacciate di cioccolato, torbide nostalgie e malmostose manifestazioni di scellerata ineducazione, per recarsi invece all’esplorazione dell’Unieuro combinata con furbissima commissione personale dal Castorama lì confinante.
Riuscire a strategicamente unire la possibilità di inculare sapientemente un suo fornitore e occuparsi del suo giardino proprio uno dei giorni più freddi dell’anno le procurava immensa gioia, giacchè si sa: la femmina mestruata attinge ad ataviche e infinite riserve di crudele pazzia.
La fotocopiatrice in ufficio si era definitivamente avviata alla tumulazione, nonostante i suoi tentativi di rianimazione a improperi, trapianti di toner e respirazione forzata dalla bocchetta di alimentazione, sotto lo sguardo incredulo di 130 chili di camionista francese incazzato e puzzolente. Il tecnico poi non aveva potuto far altro che constatarne il decesso e staccare infine la spina e il preventivo milionario per adottare un’altra piccola coreana dal fornitore abituale l’aveva spinta ad indagare sulle effettive grazie di macchinette meno pretenziose per potergli degnamente spremere le palle.
Edotta in materia, con somma soddisfazione, era il turno di argomenti più frivoli.
Il castorama esercita su mrs Hyde un fascino malato e incontrollabile.
Varcando la porta al suono del mantra: “ti serve solo quello”, inciampò sul primo ostacolo, foriero di altri inaspettati guai.
Non avendo infatti monete da un euro per il carrello e avendo notato la vena gonfia sul collo e una chiave inglese al fianco dell’unica cassiera operativa all’ora di pranzo, risolse di “dare un’occhiata” prima di puntare al suo pesantissimo obiettivo.
Che siccome era lì per 25 chili di merda di mucca da dare in pasto alle sue rose, forse era il caso di cercare l’altro, un telecomando universale, a mani libere.
Prima che possiate pensar male, terrei a precisare che il falliforme telecomando precedente ha degnamente concluso i suoi giorni di zapper serenamente adagiato sul tavolo della cucina, ma con le viscere sparpagliate in terra.
Mrs Hyde lo adopera solo per gli scopi a cui è preposto, spremendo al massimo 4 tasti in tutto e solo un paio di volte l’è scappato di lanciarlo, l’ultimo proprio il dì ch’è morto, lo stesso malaugurato giorno un po’ nervoso della fotocopiatrice. 
Docilmente indirizzata al reparto elettrico da un solerte addetto, ha ascoltato deliziata dieci minuti di spiegazioni in camicia rossa, alla fine dei quali ha optato coscienziosamente per l’unico ed ultimo telecomando disponibile e si è diretta al reparto giardinaggio.
Dall’altra parte del negozio.
E poi lo vide.
Vide l’oggetto che ancora adesso è vividamente scolpito nella sua bramosa fantasia.
La cintura del carpentiere.
Al solo primo sguardo, ricordi di Village People e operai degni della CocaCola si rincorrevano sudati nella sua mente.
Deglutì, sfiorando appena la tascona di pelle ruvida e un po’ fetente, immaginando quanto potesse esserle utile un simile tesoro.
Poi si riebbe e proseguì la sua caccia, strappandosi un sorriso ebete come per il complimento di un passante.
Lo stallatico era finito, apprese, assieme alle dettagliate tabelle di rifornimento del Castorama di Genova che un gentile addetto non mancò di illustrarle con aria verosimilmente contrita e fiduciosa di rivederla presto.
Girellò furtivamente evitando accuratamente di incrociare neppure per un attimo lo sguardo di un altro assistente finchè alcuni sacchetti di bulbi tardivi non le saltarono in braccio e a quel punto risolse di andare a conoscere anche la cassiera, sperando che non fosse in botta ciarliera pure lei, che se dal lato laterizi si fanno di bostic da ste parti si fumano la torba..
Fu diligentemente accorta nell’evitare un ultimo saluto alla cintura delle meraviglie.
Ma non riuscì a scamparsi l’unica coda.
Con sottofondo dialettico di coppietta da tergo, stimolante di lei, un po’ ritardato lui.
La signorina, graziosa e dispendiosamente abbigliata, ha sciorinato commenti malevoli per 12 minuti su: la (presumo futura) suocera, gli amici, l’idraulico, l’incapacità del compagno di opporsi all’idraulico, la sua poca disponibilità a trascurare il proprio lavoro per seguirla nella titanica impresa dell’abbellimento del loro nido e l’inettitudine della cassiera, anzi del Castorama tutto.
Poi non l’ho più sentita perché è arrivato il mio turno, e penso manco il ragazzo, che dalla disperazione si era attaccato al telefono.
La cassiera invece è stata di poche ma educate parole.
E col mio bottino mi sono avviata alla macchina, senza l’ambito sacco di cacca sulla schiena ma con un progetto altrettanto fertile in mente.
Pensavo, se per alcolismo o incapacità dovessi affondare la ditta di famiglia, potrei aprire un Catsofordama.
Un emporio brico-tutto per la casa, specializzato in clientela femminile single, che i lavori se li smazza da sé senza rompere le balle e divertendosi pure (ne conosco diverse), con personale rigorosamente maschile, sotto i quarantacinque e a torso nudo, che magari per i casi disperati, dia una mano col montaggio,  e un angolo discreto dedicato ai gingilli un po’, come dire, ecco, da sexy shop.
Secondo voi è una vaccata?
Vabbè tanto ci devo tornare là.
Ma solo per una cosa…

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