mercoledì 14 dicembre 2011

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07/08 - no, tu no...
Non avendo nessuna intenzione di spiegare a chicchessia come pensavo di affrontare la questione  – data la lacunosità del mio delinquenziale progetto – all’amica (veggente e strega!) con cui avevo scommesso l’arrivo di “quei giorni”  fugai  le insinuazioni con un ma-và-tuttapposto e una pizzetta infrasettimanale. La cena peraltro includeva al tavolo azzeccatissimo diversivo: terza femmina in evidente dolce attesa, regolarmente coniugata e felicemente avviata al tondeggiante quarto mese.
Fu altamente istruttivo ascoltare minuziosi racconti di soavi svenimenti, inevitabili capogiri, tanfi insopportabili, cibi disgustosi, nausee inarrestabili e notti di sudore e spavento.
Peccato che a distanza di un mese di spensierate libagioni da allora, a me non è successo un bel niente di tutto ciò e l’allegro ben di dio che ho ingoiato ogni volta che non potevo accendermene una, convinta di trascorrere quattro settimane depurative a raccarmi l’anima in un catino, mi si è invece attaccato alle chiappe, al giro vita e – meno male, c’è giustizia  – pure un po’ più su.
Un sopraffino olfatto da bracco mi spinge invece a intrufolarmi in profumerie da mille e una notte e drogherie di ali babà a inseguire volatili tesori.
Risultato: ho una dozzina di tubetti di creme, bagnoschiuma e boccette nuove in bagno, una collezione di spezie da far invidia a un cuoco pakistano e un’aria malandrina da piccolo chimico londinese ogni volta che apro il frigo per preparare la cena.

08/08 - acqua (o succo d'ananas) in bocca
Pur nel mio noncurante atteggiamento censorio, non potevo sperare di darla a bere a chi mi frequenta più assiduamente e condivide da anni  i medesimi vizi.
O forse semplicemente non potevo più far finta di niente, che a parlare con lo specchio finisce che ti portano via in ambulanza.
A qualcuna sta roba la dovevo raccontare, che magari a me sembrava una gran cosa e invece era una cagata pazzesca e ci voleva qualcuno più registrato di me per farmelo capire.
Il giovanotto responsabile del fattaccio lo avevo tramortito col mio diplomatico tatto, e poi forse pure un po’ volutamente escluso da eventuali progetti a lungo termine, dannato mio cronico senso della precarietà sentimentale e castrante disfattismo affettivo. 
Il fratello che sarebbe potuto diventare zio lo avevo commosso, prosciugando poi certi suoi entusiasmi commentando che un bambino non è un cagnetto e che se andava a bagno la carretta di famiglia, stavolta si affondava in tre.
Qui ci voleva un po’ di sano realismo, di quello feroce delle mie femmine: non c’era altro da fare che vuotare il sacco.
La prima fu la Bianca, che mi sognò un paio di notti dopo con una bottiglia di amaro in una mano e un fagotto roseo nell’altro. Come dire la lupa diventa mamma ma non è necessario che perda il vizio. Lo prendo come un complimento, cara, seppure onirico.
La seconda fu la cinica Jolanda, che gioiosa (addio scrollone di praticità!) m’avrebbe pure risposto d’impeto azzeccato un “oh mamma!” salvo riprendersi ed elencarmi invece tutta una serie di benefici dell’eventuale latitanza di un uomo per casa a far disordine nei prossimi impegnativissimi mesi, nonché la privilegiata assenza di consigli non richiesti almeno da parte di suocere, o facenti funzione, relegate a 300 km di distanza.
Insomma che alla fine a chiunque l’abbia finora detto è scappato un sorriso, anche se magari non da idiota come il mio.
A qualcuna che un tempo sarebbe stata la prima a saperlo invece non me la sono sentita di dirlo.
L’ho incontrata una sera di tempo bizzarro, sotto una grandinata fuori da un bar.
La sua vita in quel momento inseguiva, con orgoglio zoppicante e un cuba di troppo in mano, un giovanotto sfuggente, senza il credito per mandarle un sms di scuse e un litigio all’indomani di progetti di convivenza.
Annaspando per non brindare senza una valida scusa ho accolto sollevata l’ora di tornare a casa, con una lista aggiornata delle cose che non volevo più oltre al maltempo per i miei prossimi giorni, mesi, anni a venire.   
Orbene, giacché da un po’ l’ho pure spifferato a voi, sarà quindi forse il caso che informi anche quegli altri due poveri ignari vecchietti, che se lo scordino di trascorrere il resto della pensione ad arrostirsi le rughe sotto una palma keniota con ombrellini di carta piantati nei cocchi perché in primavera qui la solita figliola cazzona potrebbe anche diventare una ragazzaccia-madre…


10/08 - santissima sanità
la dottoressa m’aveva cinguettato garrula che ora non si poteva far nulla se non aspettare fino alla 12° settimana.
Ottimo, questo approccio teik et isi.
Solo che per “non far nulla” intendeva pure niente palestra!!! .. orco boia.
Ogni volta che passa la reclame del cofanetto di Guerre Stellari mi balena per la testa Jabba con una lunga parrucca castana, al braccio la mia favolosa enorme borsa verde nuova fiammante (ultimamente solo investimenti solidi, a taglia unica) e un setter irlandese al guinzaglio.
Per distrarmi ed ingannare il tempo la santa donna mi ha però prescritto una serie di analisi.
Così per la terza volta in vita mia – credo – ho messo piede coscientemente in un ospedale,  pianeta a me pressoché sconosciuto e pieno di insidie per il quieto vivere di chi è abituato a cavarsela da anni.
Peraltro ho approfittato così per ficcare il naso dove ho sempre visto sparire frotte di donne, dato che il complesso sta tre palazzi più a valle di casa mia, e la consapevolezza dell’immoralità del gesto di menare una puerpera mi ha da sempre trattenuto dall’inseguirle col crick ste spericolate posteggiatrici, che tirano il freno a mano dappertutto nel mio quartiere e poi spariscono beate e tondolotte delle mezze giornate sbattendosene di chi hanno incastrato.
Funziona così, come ho potuto imparare: se sei senza appuntamento ti presenti che ancora fa buio, digiuno, mezzo addormentato (ma pulito), ed armato delle più pacifiche sante intenzioni e pazienti migliori maniere.
Dopo un’ora larga ti ritrovi circondato da una piccola folla che discorre amabilmente delle sue emorroidi allo sconosciuto di fianco, ti accorgi che ormai sei sveglio anche tu, e che sei una delle forse quattro o cinque persone lì che si è fatto la doccia, hai il didietro a forma di seggiolino in plastica antitraspirante,  il sapore di dentifricio ormai te lo sei succhiato via tutto, ti ricordi con orrore che non puoi manco fumare, spii con odio sordo due tipe che se le appicciano col filtro bianco là fuori e inizi a pensare che daresti un braccio per una mela, o un pezzo di legno, o persino la targa degli orari di inizio prelievi, in cui piantare i denti.
Arrivano le addette – proprio quelle fumatrici che a te ti stavan già sulle balle ancora prima di grovierarti – e tu ti sogni già le uova fritte e il bacon che tua grandmother ti faceva negli anni psichedelici dei tuoi paradisi infantili senza cellulite.
Ma, orrore: prima di te ci sono gli habitués, i veri professionisti:  i Prenotati.
Impari così che il tuo numero 11 in ospedalese pubblico si legge 311…
Alla fine il braccio te lo fanno dare, e ti ci spremono via una litrata densa di una roba rosso scuro.
Sei ancora lì che pensi oddio ma senza tutto quel sangue e niente colazione io mi sa, me lo sento, che stramazzo qui fuori sul marciapiede come una senzatetto ignorata dai passanti esperti e i loro foglietti bianchi e rossi, e ti ritrovi in corridoio con una caccola di ovatta sul braccio rapinato e ritorto come un’ala di pollo cruda, la stessa espressione avicola, giacca e borsa appese all’altro e un foglio tra i denti che ti dice di non farti vedere prima di dieci giorni, se e quanto dovrai cacciare alla cassa (che sospetti stia da tutt’altra parte) per sapere cosa ti hanno trovato dentro.
Ovviamente tutte queste cose io non le ho lette.
Con un sorriso che funziona persino al reparto progettazione cucine dell’ikea la domenica pomeriggio di pioggia ho candidamente stuzzicato per cortesia l’energumena incamiciata addetta alla regolazione del traffico sala d’aspetto/laboratorio prelievi.
Occhiata di sdegno e lapidaria istigazione alla lettura approfondita dell’evangelico papiro miniato che sventolavo in mano.
Ora, io lo capisco che avere quotidianamente a che fare con scampati da ictus, post infartuati, ipocondriaci abbonati, alzheimeristi e la corte dei miracoli tutta dev’essere un po’ come gestire una scuola materna frequentata da camionisti bulgari coi tappi nelle orecchie, ma io non ci posso fare niente se fino ad oggi me la sono cavata solo con tre punti sulla lingua a otto anni e una caviglia slogata a trenta.
Mi reputo anzi fortunata per la mia ignoranza in materia di burocrazia sanitaria. E comunque, se opportunamente stimolata, so di essere mediamente capace di imparare.
E non sarà una bulldoghessa azzurrina con un po’ di baffi e i polpacci da calciatore a farmi smettere di sentire così, dopo anni spesi a trattare con doganieri di giorno e buttafuori la sera.
Avanti il prossimo, che numero ha lei, le avevo detto di mettersi là e aspettare il suo turno, ora c’è il tredici, dov’è finito il tredici? È lei? No? Sua moglie? No, non può entrare lei al suo posto, vada a cercarla per favore. Quattordici? Dentro!
Quindi la prossima volta penso proprio che prenoterò.

intervallo sclero
e finalmente son tornati tutti, dalle vacanze.
ma si vede che il fattore di protezione della crema non era abbastanza alto, che c'hanno tutti il belino abbrustolito da tre giorni?

12/08 - il compleLupiz
Ad un mese meno un giorno di distanza dal mio, arrivò – con precisione imperturbata, a differenza di altre robe che t’aspetti e invece possono saltare – anche il compleanno del principe Lupiz.
Già trovare un degno omaggio ad un ragazzo che ha già tutto, sa scegliersi il meglio di quel tutto e riesce a farselo durare negli anni al di là delle mode e dell’usura delle lavatrici dei comuni mortali, e per di più ad agosto coi negozi sbarrati e le taglie dei mostri, non è roba da poco se le settimane precedenti t’ha investito un tornado che non sai da che parte è girata la tua vita e quindi ti ricordi del regalo tre pause pranzo prima della festa.
Ma a complicarci non poco l’esistenza a noi sudditi poveracci, gettandoci nel panico più scomposto come un nugolo di mosconi dal culo blu, dieci giorni prima dell’evento il ragazzo si inventò anche un tema per la serata.
Ho sempre ammirato la capacità di pochi carismatici individui di farsi beffe dello sbattimento a cui sottoporre gli amici, determinati a far andare le cose come da loro desiderio, e tuttavia riuscendo a farsi adorare proprio perché sono così, (o semplicemente perché si circondano di masochisti..).
Mio fratello è uno di quel tipo di persona, generoso e spietato, diabolico e umano nello stesso tempo.
Uno che ti sta sui coglioni  ma che lo ami follemente anche quando ti ci scanni.
Non mi è chiaro ancora adesso se la sua scelta di farci conciare tutti come negli anni trenta, scavando disperati negli armadi di ferragosto come tombaroli idrofobi fosse motivata dal vezzo di sfoggiare una camicia coi gemelli di gucci  e le bretelle di prada, la casa piena di candele, superalcolici e palloncini dorati, oppure per permettermi di nascondere con grazia certe mie morbidezze con la vita bassa di un abito color avorio,  e salvaguardandomi da pericolosi voli per strada con scarpette rigorosamente cinturinate alla caviglia.
A scivolare al taglio della torta fu invece un delizioso calice di champagne rosé giù per la mia gola, con tre, forse quattro fettine deliziose e – giuro – davvero sottili..
Al diavolo, io resto una impunita testa di cazzo. Anche con quel segreto,  in fondo un po’ un regalo,  in più.

vuoti a perdere.
giovedì 6 settembre 2007 17.46
Big Luciano lascia un grande vuoto.
Più o meno lo spazio che occupavano i 38 indios che Felix s'è spazzato via in Nicaragua.

lotta ai piromani ?
giovedì 6 settembre 2007 18.32
notavo con olfattivo sconcerto che il reparto candele dell'ikea è stato magnificamente ampliato e ri-organizzato,  a scapito di quello di piante e giardini...

15/08 - odori di viaggio
pomeriggio di ferragosto, che tutta l’Italietta nostra se ne stava supina o prona ad arrostire al sole, un indomito manipolo vestito per l’Antartide percorreva l’autostrada dei fiori in direzione di Ventimiglia lasciandosi alle spalle due pezzi di cuore peloso, tra cuccia e scatolette razionate, nasellini congelati e sabbietta sufficiente per prosciugare il Bisagno e una lista di inutili raccomandazioni. Gli animali domestici si sa, in mancanza dei padroni, riducono al minimo le loro malefatte, per il terrore di perdere l’unico contatto rimastogli, e il breviario di consigli inchiodato al frigorifero serviva solo a tenere sotto controllo i nervi della povera dog(mio) & cat (materno) sitter.
Noialtri quattro infatti, genitori, fratello e miss J, ce la battevamo per qualche giorno in Inghilterra, per il matrimonio di una delle nostre ultime nubili cuginette.
Alla mia età capita sempre più raramente di trascorrere così tanto tempo così vicino ai miei genitori: la gioia di regredire all'era di quando non avevi la nozione della parola "portafogli" appena un po’ adombrata dalla scoperta che le stagioni che per te sono passate a gozzovigliare per bar, a loro hanno imbiancato la chioma e impigrito i riflessi. Sorridendo col mio segreto fuori dal finestrino, li ascoltavo battibeccarsi, e tra una sosta caffè e  qualche occhiata d’intesa con il Lupizz nello specchietto retrovisore si arrivò all’aeroporto di Nizza.
Scaricati i vecchietti e i bagagli di fronte alle partenze, noi si andò a posteggiare per poi raggiungerli al check-in.
Così li perdemmo, per la prima di una serie di volte, avremmo poi scoperto.
E intanto che cercavamo dove potessero essere finiti (erano seduti dietro un tabellone) noi ci si guardava in giro.
Non so se è una mia mania, acuitasi ultimamente peraltro, ma trovo – da sempre – che ogni nazione abbia un odore diverso, suo, caratteristico del tipo di vita che vi ci si conduce. Un mix del detersivo per pavimenti, del cibo, del deodorante di moda, che differisce da paese a paese.
La Francia ha il suo, con note più secche e artificialmente floreali, l’Inghilterra pure, più dolce, come di talco, con predominanza indiscussa di cibo (a tutte le ore). Chissà che odore ha l’Italia per uno straniero che ci mette piede..
Tipo di interni di pelle (d’auto), riviste patinate e castelmagno?

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