mercoledì 7 dicembre 2011

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Musica, maestro!
Maestro portami presto una canzone nuova, e che sia difficile ti prego, che io possa stonare un po’ le prime volte e farti ridere con me.
Portami anche il testo, semmai non ti venissero bene le parole, e insegnami la lingua dei tuoi ritmati pensieri, con le erre arrotolate dei tuoi boxer in fondo al letto e le esse stropicciate come  sopracciglia dei miei curiosi perché.
E non ti arrabbiare però se poi continuo ad usare la mia, impara tu per favore che miei pensieri sono nati con me.
Insegnami a non aver paura di aver bisogno, che anche l’assolo più vibrante è solitudine silenziosa per l’orecchio che non c’è, che le corde si sfiorano e non legano, che le tue labbra ammorbidiscano anche me.
Scandisci bene il ritornello, che mi rimanga impresso quando sarò via a giocare, che quando torno  te lo voglio storpiare proprio sul più bello, apposta per vedere l’espressione scocciata che fai.
Battimi il tempo con le palme grandi delle tue mani, ma lasciami cantare con la mia vita sguaiata se puoi.
Non dubitare delle lezioni che ho seguito prima, hanno accordato le mie carezze e toni bassi per te.
Maestro insegnami a cantare di nuovo, per la gioia del momento di farlo, e io docile ti farò re, riportando armonie allegre andanti con la tua bacchetta rosa nel brusio dei miei troppi “se”.

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conversazioni fisiologiche
Curioso che se metti assieme quattro donne, per un tè con pasticcini delle cinque, un aperitivo lait o pericolosamente lungo, o una cena dal cinese, o due foglie di rucola e quattro lacrime di caprino fashion da 18 euro smarrite in un vassoio di porcellana, inevitabilmente si finisca a parlar di cibo.
Mi duole infrangere i sogni maschili di boccacceschi racconti di torbide gesta erotiche, questo avviene solo se il cavaliere in questione è di passaggio o di freschissima fornitura.
Trascorse le prime due settimane di frequenza sopraggiunge infatti la discrezione del sentimento a proteggerli, non essendo più l’isterica incredulità per le attenzioni di siffatta perla d’uomo bisognosa di esorcismi collettivi, i quali saranno riesumati successivamente, in tempo di crisi.
Fatta eccezione che ci sia particolarmente da ridere o da piangere.
E, fossi in voi, non vorrei essere nominato in nessuno dei due casi.
Dunque le femmine devote, prima e durante la consultazione del menù, abitualmente si liberano la coscienza confessando pubblicamente i peccati di gola commessi nelle ultime 48 ore, che vengono unanimemente perdonati sulla base del calcolo automatico della metà delle calorie denunciate moltiplicate per il coefficiente di amabilità della colpevole, riservandosi di aggiungere eventuali riporti dopo che questa abbia fatto le ordinazioni di future pietanze più o meno costose, e abbia i soldi giusti.
Chi non ha peccati da confessare è invitato a tacere, vergognandosi, o adducendo giustificazioni virali evidentemente coadiuvate da un aspetto di merda o inventandosi di aver mangiato si forse un paio di cioccolatini, ma belli grossi però.
Giocoforza quindi, si arriva prima o poi al momento, solitamente durante il consumo delle vivande, di parlare di lei.
La madre degli argomenti sociali femminili.
Vuoi per la vituperata sua protervia, antiestetica causa di fastidiose rotondità (insieme alle ossa grosse), vuoi per la declamata regolarità (coadiuvata da snocciolamento di morbosi dati tecnici e trucchi infallibili), com’è come non è, ci ritroviamo sempre sul tavolo la stessa questione.
La cacca.
Purtroppo, anche se la simpaticissima bionda e popputa sacerdotessa televisiva dello yogurt promette ventre scavato, ripetute prove empiriche di pesata prima e dopo confermano che la sostanza, per quanto occasionalmente di produzione abbondante, non influisce sulla staticità dell’ago della bilancia.
Tuttavia l’astensione dall’appuntamento principe della privacy, che personalmente consumo in necessaria e monacale assoluta solitudine, non importa se ho fatto le capriole nuda con la maschera di cat-woman fino a qualche ora prima, quella porta ha da restare c-h-i-u-s-a, tuttavia, dicevo, questo oggetto di conversazione non pesa quasi nulla, ma se manca sono guai.
Guai in termini di pessimo umore, e il pessimo umore può diventare mal di testa, e il mal di testa ha l’antipatica abitudine di arrivare al venerdì e far fuori le vostre cat-woman che col pancino teso e tondo come  la crapa di Ronaldo  probabilmente si sentiranno sexy come egli stesso in reggicalze e push up  (non me ne voglia l’atleta scintillante che è in lui, benché pasciutamente ricoperto).
Se solo mia madre immaginasse che crescendomi con un profondo rispetto e appassionato gusto per le verdure ha spianato la strada a una serenamente disinibita conversatrice femminile e placidamente ruffiana gattina da materasso, probabilmente mi avrebbe tirata su a uova sode e succo di limone.
Anche se per esperienza penso che il nemico numero uno sia la sedentarietà, e quindi forse forse a voler ben vedere anche certe forme di movimento ricreativo domestico andrebbero incentivate, da chi può, coltivandole anche infrasettimanalmente…
Oppure: prugne secche, un evergreen.
E per cortesia, il conto per le gentili signore al tavolo in fondo, grazie.


giochi di mano..
Scusatemi questo momento rimato un po’ demente, che oggi mi è preso così, di spalle e improvvisamente, guardando pensosa nella luce il fumo da una mano alzarsi a spire, che attorcigliato al mio vanesio sorriso andava a finire.
Vorrei regalarmi un paio di guanti verde acquamarina, trasparente come l’aria fresca di certe mattine, che ti alzi un po’ più tardi e non hai da fare un bel niente, e allora ti infili curiosando piano tra la gente.
Ne vorrei un paio sfoderati verde rana, con impunture viola, così se incontro piccoletti che tornano da scuola, potrei chiuder loro l’ultimo minuscolo bottone del cappotto, che tenga bene al caldo il cuoricino che sta lì sotto.
Ce ne vorrebbe anche un paio da portiere verde militare, per prendere a pattoni i maleducati che lasciano cagare i loro quattrozampe di qualsiasi colore e razza, e fan finta di nulla girando la fazza.
Poi li cerco pure verde cipresso, per coprirmi gli occhi quando vedo certe dame di adesso, con quella schiena mezza nuda mamma mia, che trionfo di elastico e ciccia, che po(r)ca fantasia.
Ce ne fossero anche verdi bottiglia, per non far litigare chi se la piglia, chi se la prende col vigile in borghese, che magari oltre alla multa poveraccio gli tocca risarcir le offese.
E allora ne voglio un altro paio di velluto verde menta, con cui sfiorare il braccio perché ti senta, chi  accanto te soffre a bocca chiusa, come se potessi io, al posto della vita, chiedergli scusa.
O verde salvia col cinturino di vernice, per lanciare palle di neve fatate che rendano felice, felici di quel che si ha, di poco, anche solo di respirare, ma accorgendosene leggeri come dopo un raffreddore.
O perché non un paio verde mela a fiori ricamati, che sfiorandoli appena ci si ritrovi guariti, da tutto: virus d’amore, storie a pezzi o altri morbi, anche di quelli là, che si diventa orbi.
Un paio rinforzati color verde muschio, per spingere il cuore a fidarsi ancora e correre il rischio, e in mezzo stavolta mi ci metto io pure, che mi lamento tanto ma poi guai a non fare le dure.   
E un paio zebrato giallo e verde ramarro, che faccia innamorare la strafiga tirata di un tamarro, che capisca che macchina e vestiti non sono affatto tutto, che giudicar per quello è veramente brutto.
Però sarebbe fico averne anche di pizzo verde pistacchio, solo per me che davanti agli scarpivendoli non capisco più un cacchio, che mi impedissero di infilar lesta la mano nella borsetta, e tenermi quella dannata cartasì ben ben stretta.
Bellissimi poi lunghi e di raso verde pisello, sì sì, avete capito, che servan proprio a quello, a non lasciar impronte digitali su chicchessia, palpare impunemente chiunque mi piaccia e scappar via!
Da non farsi mancare manco quelli di gomma verde pus, per ogni donna di casa l’irrinunciabile must, che strofinino i piatti e, contemporaneamente, combattano cellulite, peli, rughe e tetta cadente.
Ma forse me ne occorre anche un paio di lanona verde penicillina, con cui sarebbe arduo scrivere sta roba cretina, che con tutti i guai che mi stanno attorno penso solo allo shopping anche questo giorno.
Ma volete sapere che ho combinato invece? Cazzo me ne son comprata un altro paio in pelle nero pece, che posso farci, lo so, lo so, che sta arrivando il caldo, ma come resistere, mannaggia: erano in saldo!
(e poi verdi non avevo le scarpe da metterci…)


Easy lover
Lunedì – mi sono innamorata della simpatia dell’accento scozzese di fanciulla amante dell’Italia, che sarà il mio contatto per un lavoro finalmente accaparrato dopo estenuante corte concupiscente.
Martedì – sono arrivata ai lucciconi palpitanti solo all’idea di poter amare una nuova vita che cresce ancora in bianco e nero dentro un’amica, e la sera ho immolato il mio cuore sulla padella dei pancakes, che solo una mamma li sa fare così.
Mercoledì – l’infatuazione per la borsa nuova presentataci dalla palestra per addolcire l’aumento della rata mensile si è rivelato un fuoco di paglia, sbriciolandosi incenerita come il suo cursore della cerniera, meno male che almeno le adidas nuove mi han dimostrato tutto il loro sincero e ammortizzato affetto sul tapis!
Giovedì – sono caduta recidiva e innamorata del piccolo solco di preoccupato perfezionismo scavato sulla fronte di mio fratello da una sua lettera impeccabile, riletta finchè non ho aggiunto due virgole, e scandalosamente, nello stesso pomeriggio, mi sono autoconcessa un’occhiata lasciva al riflesso nella porta a vetri, scoprendo che l’appassionata paterna lezione la sapevo già.
Venerdì – son appena scivolata in un’imboscata di lussuria in magazzino, incontrando una nuovissima svedesona, nera, magnifica e inconfondibile bottiglia che finalmente si lascia accarezzare dal vero, ricordandomi quanto amo quello che faccio.
Nel pomeriggio aspetto l’idraulico, che la caldaia ha bisogno di un piccolo trapianto.
Chissà se a lei vorrò ancora bene dopo aver pagato..

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