mercoledì 14 dicembre 2011

archivio


pane e denti
Troppo presa dai miei deliri di allargamento di taglia e rivoluzione di vita domando scusa a chi vorrebbe essere al mio posto, e per tristi motivi  non può.
Abbasso lo sguardo, per tutti coloro che cercano, senza riuscirci, di diventare mamme e papà.
Forse io non ho chiara, ai loro occhi, la mia fortuna.
Forse perché i miei sono blu, e sono solo due...

31/08 - morale
questo agosto che non scorderò facilmente lo chiudo con una piccola verità sfuggita di bocca al Giobatta della Miriam, i due poveretti  ancora sottosciò con lo squisito e abbondante polletto tra i denti,  e la moka borbottante sui fornelli: “se ci pensi troppo non lo fai…”
già ragazzi, ma manco se ci pensavi meglio...  ;-)


l'outing
Colla piega pettegola che aveva preso il mio pubblico segreto, non potevo sperare di campare ancora qualche mese nella mia  bolla di prozac ormonale, un po’ alla  tutti vissero felici e contenti.
Il mondo sembra essere così gentile con le gravide, quasi a compassione del peggio che verrà.
Il mio peggio – lo ammetto – non mi spaventa il dolore fisico, ma le rotture di balle con ramificazioni psicologiche che si aggrappano a memorie  infantil-adolescenziali e si ripetono a cadenza settimanale, sì – quindi dicevo: il mio peggio è mia madre.
Ho imparato tardi (e a pagamento) a mandarla a quel paese, e pur facendolo ormai un paio di volte l’anno, mi rimane una mestizia dentro, per quella sensazione di non essere all’altezza che solo una madre ti sa instillare.
Tutto questo non facilitava per niente la questione “rospo”,  che quindi da codarda – ma pure con nessuna voglia di sentirmi martellare le balle più di quanto fossi disposta a tollerare – fu risolta spifferandole venerdì scorso la cosa in occasione di suoi commenti telefonici sulla nuova gravidanza della tal cugina british che avrebbe presto rivisto..
Inutile dire che quando ha capito che non scherzavo, l’è preso un accidente, e lacrimando mi ha augurato che mi nasca una testa di cazzo come me, per capire cosa si prova ad essere madre…
Poi si è imbarcata per l’uk, e torna a fine mese, se la granmà non ci si aggrava, poverella.
La sorte un po’ toglie, un po’ dà: fortunatamente ho un padre che sa che la perfezione non è nella natura  umana.
Sincerandosi che stessi bene (nella testa) e chi fosse il padre, ha commentato che magari il piccoletto nasceva con le braghette di camoscio, e che suonava già lo joodelai  (“trombone alpino” come ve lo si spiega senza gesti?).


le cose cambiano..
la giovanissima femmina aveva tre pensieri fissi: i vestiti (come permetterseli), il cibo (come farne a meno) e il sesso (sonante moneta di scambio)
la giovane femmina ha tre pensieri fissi: i vestiti (quelli che possono tornar di moda), il cibo (e vaffa anche se non è light) e il sesso (le gioie semplici)
e ieri sera la mia masnada di donne intorno ad un tavolo non è venuta meno:
Zara ha aperto un corner premaman, e H&M  va parecchio di vita alta st'inverno,
congelamento del cordone ombelicale: il cordon bleu (W la Wanda),
sputtanamento generalizzato del signor Oginoknaus..

giornata del cazz
mercoledì 26 settembre 2007 18.33
c'è un solo uomo capace di farmi sentire contemporaneamente stupida come una capra, incazzata come un  macaco e impotente come un pulcino.
e quello  è bill gates.

 gioie di stagione
giovedì 27 settembre 2007 22.50
cheffreddo al parco stasera, quasi mi ha fatto piacere raccogliere certe robe canine...

vendetta autunnale
lunedì 1 ottobre 2007 10.28
non ho capito perchè se il mio canetto battezza un ippocastano, la castagna in testa me la becco io...

archeologia verbale
mercoledì 3 ottobre 2007 13.24
spietata e affascinante la capacità che solo le donne hanno di riesumare recrimininazioni paleolitiche per dar loro lustro e più particolareggiate sfumature ad ogni nuova discussione.
io e mia madre siamo la quintessenza della femminilità temo.
e speriamo che sia un maschietto và..

la banda del buco
venerdì 5 ottobre 2007 19.47
Sedici settimane non ti pare possibile che ti scappino così tra le dita, come cannucce rosicchiate di analcolici alla frutta o cerniere e bottoni dei jeans ammutinati.
Invece succede eccome.
Luglio coi suoi ultimi festini alcoolici, agosto di decisioni solitarie grazie alle vacanze degli altri, settembre che al ritorno gli piglia a tutti un accidente, e si arriva a ottobre che inizia a far buio la mattina e tu che pensi che va concludendosi un’estate difficile da dimenticare, forse la tua ultima estate da monella che probabilmente maneggerà ben altro tipo di bottiglie facendo le ore piccole l’anno prossimo per quest’ora.
Ieri, con foglie gialle e pericolosi avanzi di un caco traditore appiccati alle scarpe, foglietti bianchi e neri spiegazzati in tasca, una rughetta perpendicolare in mezzo ai sopraccigli (a maledire la macchia sulla mia onitsukatiger) e la maglia tesa e un po’ corta sulla panzetta, tra appuntamenti posticipati e gruppi sanguigni ancora misteriosi è stato il mio turno di finire una buona volta lunga come un maialetto farcito sul tavolo del reparto ostetricia e ginecologia del piccolo ospedale sotto casa, che era tempo di esami, di quelli che un po’ danno da pensare. 
Al giovane papà che si giocava quel giorno una gara importante, alle 18 verdissime buche che lo avrebbero a sera onorato del primo premio di un’altra coppa, o targa, o ciotolazza d’argento, al suo sms preoccupato più per quell’unico buchino che non toccava a lui centrare.
Alla giovanile nonna, dall’aria sofisticata e, solo per un occhio esperto, in pena, colle sue scarpe arancioni tamburellanti alla ricerca di una penna che non ci fu verso di far sputare alla borsetta in tinta, per compilare i moduli dell’amniocentesi della figlia.
Al ginecologo e all’ostetrica visibilmente raffreddati, ma efficienti e pure buontemponi, che assieme all’ecografista rassegnato al suo destino di contagio, han sdrammatizzato tutta l’operazione erg riuscendo persino a perforare la britannica crosta delle riserve della mia accompagnatrice (e poi quello schermetto lì fa miracoli, giuro).
Personalmente prometto solenne d’ora in poi di non piantare più la forchetta dritta dritta dentro un raviolo, e di rispettare tutti gli spiedini.
E manco di  farmi tentare da chupiti di rum chiaro.
Per il resto, l’è andata, tutto liscio, se possibile anche più del solito, a detta dei siringatori, delle spennellatici di roba gialla (ora, ma per un forellino c’è bisogno di fami diventare un apemaia di 57 kg?)  e dei divinatori di schermi bianconeri.
Il risultato sul ripieno la bambolina vudoo qui lo dovrà aspettare quindici giorni come tutte le altre però.
In compenso si sta godendo una treggiorni di domiciliari con pericolosissime overdose di libri, dvd, divano & copertine e dannati biscotti al cioccolato che una donnaccia malandrina le ha messo in mano al volo in un attimo di distrazione..
E forse con irresponsabilmente ottimismo, direi che il momento più difficile anche stavolta è passato, ieri sera,  quando ho dovuto trattenermi dallo sghignazzare a crepapancia guardando scrubs (orcobboia: son tutte panzute pure lì..)

cherchez le jeune homme..
sabato 6 ottobre 2007 20.03
Cara/o Amica/o costernata/o,
cosa passa veramente nella testa di chi ci sta accanto, non potrò mai  essere certa di sapere.
Questo genere di dubbio è roba da trattare con rispetto, come la candeggina, pena trovarsi con una maglietta addosso di un colore imprevisto, o peggio irrimediabilmente danneggiata.
Cosa proviamo quando qualcuno divide con noi il tempo di una sera, una settimana, un mese, quello forse sì, traspare. Ma con un margine di errore tale da poterci spesso accorgere solo a distanza di anni quali possono esser stati i meccanismi che ci han portato al presente.
E anche lì, la foga che ci proietta all’inseguimento dei nostri piani, può spingerci a dare per scontato dinamiche mentali e di comportamento altrui, con una tirannica presbiopia che purtroppo nella maggior parte dei casi può rivelarsi dolorosamente deludente, al pari della scoperta di quanto sia stretta o stridente l’eleganza di una scarpa di un numero in meno, indossata col sorriso stirato nello specchio di casa e lo scontrino ingannatore ormai freddo in borsa.
Tu quindi mi chiedi forse con ragionevole preoccupazione (per me? Grazie!) che ne sarà di me e soprattutto che ne è di lui, del ragazzo che si intravede solo di sfuggita tre le trame dei miei pensieri per ora ancora a orsetti gialli o nuvolette verdoline, e con una punta di spazientita arguzia ti accorgi che quel mio velo è uno scudo.
Difendo il mio complice in effetti, difendo la sua libertà di scegliere per sé il suo prossimo taglio di capelli o della sua vita. Perché quella vita che invece porto dentro non sia a distanza di anni un fardello di recriminazioni e rinunce, un grimaldello nelle mani vendicative di noi adulti.
Lo difendo con sconsiderato ottimismo, perché so con certezza che non sarà facile, non lo è mai, ma faccio i conti arrotondando volutamente in eccesso con la mia natura testarda e la mia non comune fortuna.
Ho imparato da tempo a non cercare negli altri il mio equilibrio, e a chiedergli d’essere ciò che io per prima non sono. Io non posso sapere se tra due anni sarò una 42 o una 48, mica posseggo il dono della preveggenza, e neppure la sfacciataggine di voler imporre il mio stile per un futuro di felicità.
Io non sono in grado di dare garanzie da pentolone inossidabile, e quindi nemmeno le cerco.
Credo però che la serenità si costruisca giorno per giorno grazie a scelte consapevoli e  sincere nei confronti di noi stessi e chi ci sta accanto. Di chi vuole starci accanto, senza promesse impossibili ma molta volontà e soprattutto fatti.
Il giovane padre è vivo, nonostante sia visibilmente sotto choc.
Dove ho potuto ho cercato con decisione di impedirgli di fare scelte avventate.
Però intanto s’è venduto la sua adorata motocicletta, senza neanche chiedermi se volessi farci su un giro.
E adesso si sta organizzando la sua prossima vita di ventottenne, abituato finora a sperperarsi i proventi di divertenti lavori stagionali montanari, in qualcosa di più solido, più gratificante e remunerativo, e pure più vicino al mare. Ma ci vuole tempo.
Sono irriconoscente forse, perché insisto che non ignori la propria indole, e non smetta di cercare la sua strada, ma anzi lo faccia con maggiore cognizione di quello che lo può far star bene, invece di offrirgli semplicemente un tetto in una città sconosciuta obbligandolo a cercarsi un lavoro immediato e inadatto e scoprire magari tra tre o quattro anni che gli occhi di suo figlio sono l’ipoteca della sua insoddisfazione?
Io non voglio che ciò che dovrebbe essere una gioia in più nella vita di una persona si trasformi in un inferno di rimpianti. Non c’è davvero bisogno.
La distanza fisica costituisce sicuramente un ostacolo, dovremo impegnarci affinché l’incastro non del tutto ordinario del nostro tempo possa nutrire la qualità delle nostre esistenze, ma francamente sono sufficientemente allarmata al pensiero di smantellare la mia cabina armadi per far posto ad una culla, senza dover pensare anche di dividere la mia quotidianità per tre…
Sai che alla fine forse quella che rema contro sono proprio io!
Fino ad oggi – e bada, so che parliamo di quattro mesi solamente – il ragazzo si è dimostrato costantemente presente in voce (io sono pervicacemente affezionata agli sms, è terribile, lo so) e  appena possibile teneramente in carne ed ossa (a parte un episodio un po’ violento di battaglia coi cuscini).
Una bella sorpresa, l’ennesima nella mia vita, che mi auguro sia seguita da molte ancora, da affrontare un passo alla volta, un occhio a dove metto i piedi e l’altro avanti, sicura solamente di non poter controllare tutto, ma come scegliere di condi-viverlo, questo, sì.


Nessun commento:

Posta un commento