mercoledì 14 dicembre 2011

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the others
lunedì 24 dicembre 2007 0.13
Man mano che la concentrazione ormonale nel mio sangue mi arrotonda la forma, mi accorgo con orrore di quanto allo stesso tempo però mi si drizzi la schiena: il mio senso del dovere vacilla, sotto il peso del pancione, e la carica di pigro egoismo che mi pervade mi spinge a fare cose per me impensabili un tempo.
Cioè, tolto il dormire, dire cattiverie e il procacciarmi cibo.
Prendendomi una scandalosa settimana di ferie a dicembre per esempio.
E lasciare l’ufficio al suo destino delirante per scapparmene in montagna a trovare il mio ganzo, con il mio cane fido e grato, l’immancabile scorta di vitamine e un paio di libri a seguito.
E così far conoscenza della famigliola, l’altra, che della bomba bebè è venuta a sapere solo da un mese.
Sarà la distanza e il fatto che non mi conoscono affatto, ho trovato un’accoglienza cordiale e affettuosa  lassù nel paesello, in una baita vera di pietra ruvida  e legno scricchiolante,di quelle con pentole di rame vere appese ai chiodacci e un comodo divano di fronte a un immenso camino vero.
La futura nonna è un'esile signora bionda e vivace, ci separano 13 anni appena, che non ha mai montato un paio di catene, che si preoccupa che io mangi abbastanza, che questo nipotino lo vedrà troppo poco accidenti e che i suoi due cani non attentino al divano quando lei è al lavoro.
Osservo con curiosità la vita di una famiglia normale, con i figli che pranzano assieme punzecchiandosi sulle spartizioni di faccende domestiche e incombenze non sbrigate, vivamente grata al regalo di poter arrivare sedermi a tavola e apprezzare ciò che qualcun'altra ha fatto al mio posto, visto che nel mio appartamento da single è scontato che il contenuto del mio frigo e del mio piatto dipendano esclusivamente dalla mia lungimiranza e voglia di spignattare.
La sorellina, grazioso scricciolo bruno dalla lingua peperina e mani o punta del piede in perenne movimento, tormenta il mio compagno, che di buon grado la lascia fare. Non mi è del tutto chiaro se per sua indole o per l’occasione.
Una sera mi passa a prendere e andiamo a cena assieme noi ragazze, con la sua amica del cuore, e mi ritrovo a sentir parlare dei regali di natale decisamente costosi dell’età in cui si quantifica il sentimento per edotti fidanzatini altrettanto munifici,  residenti nelle valli accanto o città lontane, con una familiarità per la distanza che spiega forse l’accanimento con cui il mio giovane futuro papà non si sia mai scoraggiato per un paio d’ore di guida.
Il suo di padre è un uomo pensieroso, e forse è per questo che mi piace di più.
Ci guarda con educata dolcezza e ci chiede come stiamo, come pensiamo di fare quello che stiamo per fare e quanto ci costerà, in termini di sacrifici e ricompense.
Nel mezzo di tutto ci siamo noi due, che ci conosciamo poco, che ci siamo trovati in qualcosa di prevedibile ma non evitato, per irresponsabile nostra incoscienza, per caso, per destino, qualcosa di forse troppo grande.
Ho paura per la prima volta.
Paura di ferire qualcuno, ancora.
Non mi ha finora spaventato l’idea di diventare mamma, ma i legami con questi adulti mi mettono in difficoltà, il senso di ciò che ritengo sia giusto nei loro confronti mi pesa, mi affanna. Sono troppo severa con me stessa adesso, o troppo indulgente fin ad oggi?
Osservo il profilo bianco della spalla del mio giovane compagno addormentato, il sole che accende il cielo dietro la montagna e forza il verde della sottile tenda gioca con un ricciolo scuro sul suo collo, a cornice del morbido rosa di un lobo finora paziente e gentile.
Il ritmico coro di un cane che russa e un ragazzo che respira profondamente.
Il sibilo dell’acqua che ho appena tirato in bagno.
Quanto potrò essere spietata, se non riuscirò ad amarti,..

il regalo perfetto
mercoledì 26 dicembre 2007 23.59
il regalo perfetto non esiste, o forse è solo un mio concetto,
perchè e troppo grande per essere comprato e non è un oggetto.
dura per sempre e quindi non si vende, non è commerciale,
non ha scadenza e non si trova a rate, o a prezzo speciale,
ed è mille volte meglio se è una sorpresa che non ti aspetti
se non è la risposta svelata di suggerimenti, taglie e sospetti
può essere anzi che manco gli abbiano messo la carta intorno
e te lo trovi tra le mani posando semplice un sguardo in soggiorno
dove c’è un futuro nonno che confabula col tuo cane a pancia piena
e dietro sua moglie che sospira e ridacchia pensando alla dieta che gli tocca a cena
o all’esercizio di fitness previsto per lui in primavera ai giardinetti
col guinzaglio, il passeggino, giornale e gli altri vispi nonnetti.
Oppure puoi trovarlo in cucina, illuminato dal tuo frigo dalla porta aperta,
con davanti tuo fratello che finalmente ha mollato divano, digestione e coperta.
È l’sms da lontano che ti pensa, dalla pausa siga del suo lavoro sui monti,
per sfamare i turisti assatanati e ingrassare un po’ i conti.
Se respiri a fondo ne senti il profumo d’inverno frizzantino
A spasso nel silenzioso parco col tuo danzatore in pancia e il tuo cagnino,
per poi scovarne altri cento nella pace di casa a posto al tuo ritorno,
invece di tutti quei pacchetti sotto l’albero ormai disadorno.
Sono gli avanzi dei sorrisi dei baci degli abbracci degli auguri
che restano sospesi nell’aria della festa per i giorni futuri.
Uno quest’anno poi mi è rimasto incastrato nel cuore,
per chi me lo manda, è di una amica, o meglio un suo genitore,
una mamma che di sicuro ha ben altri guai, altri pensieri,
ma che lo stesso ha provato bontà sua a far dei ricami seri.
Di seriamente riuscita c’è stata la nostra bonaria risata,
perché per il punto croce forse forse la sciura non è portata,
ma quando penso al pokemon celeste che voleva essere un orsetto
mi è ancor più caro quel corredino da principe del bagnetto.
Che a far qualcosa provando apposta, che magari non ci viene una delizia,
ci vuole un cuore molto più grande che a sfoggiar la propria perizia.
Eppoi vuoi mettere l’esclusiva di un sorriso che ogni volta mi sfuggirà sincero,
non esiste sarto né prezzo o moda a confronto, ecco il regalo perfetto davvero!

son tutte belle le mamme del mondo...
domenica 30 dicembre 2007 0.15
E vabbè.
Allora si avvicina il momento di lasciar perdere.
Che poi non è così vicino, mancano un paio di mesi, ma da qualche settimana ho capito che non posso fare tutto, che il solo pensiero di fare mi manda un po’ in affanno, e allora schivo.
E quindi mio malgrado dovrò mollare qualcosa.
Ascolto con orrore l’amica che declama le gioie della nullafacenza da gestante.
Lei – dipendente statale – s’è fatta nove mesi a passeggiare dal divano ai centri commerciali, tonda come un bignè, coccolata dal marito fiero della sua assicurazione medica omnicomprensiva, in ambasce per la mancata disponibilità della puericultrice prescelta per i giorni necessari al suo riposo post parto cesareo programmato.
E non sa se tornerà a lavorare.
O forse sì, giusto il tempo di mettere in cantiere il secondo.
E stare a casa almeno altri 18 mesi.
Mmh.
Forse ci risiamo con gli ormoni slaccia lingua.
Mi pare però tante signore ci marcino con sta storia del diventare mamme.
Come se la condizione di gravida e  poi di madre consenta, autorizzi a reclamare, rivendicare, una sorta di rivincita, tra il fancazzismo e la prepotenza legalizzata.
Personalmente continuo a farmi le mie belle code in cassa, e a portare la cintura di sicurezza.
Da libero professionista però non posso non osservare con severità certe femmine della nostra specie.
E qui probabilmente mi becco qualche vaffa, ma sono stata la prima a promuovere l’assunzione di un ragazzo in questi giorni, che si giocherà nei cinque mesi di mia latitanza forzata l’eventuale posto a tempo indeterminato.
Avessero l’onestà di ammettere con se stesse e con gli altri che la maternità è la loro vocazione, che il femminismo gli è andato bene fino a che non hanno dovuto passare dalla seconda alla quarta di reggiseno.
Avessero fugacemente mostrato più rispetto nei confronti dei colleghi che si troveranno più lavoro da smazzare, visto che il sostituto andrà comunque seguito, e dell’azienda che su di loro ha investito tempo e risorse che le vedrà tornare chissà quando cariche di virus e appuntamenti dal pediatra.
Facile forse per me parlare adesso, lavoro nella ditta di famiglia da quando ho 18 anni: una seconda casa, una cura per i miei cuori spezzati, per rafforzare l’autostima, controllare la linea e il conto corrente. Probabilmente ci morirò attaccata alla mia scrivania coi fascicoli in ordine sparso e i post-it coi circolini marroni del caffè e le incazzature quotidiane.
Se già per me l’argomento era controverso prima, avendo da ventenne sostituito pari pari una dipendente in congedo di maternità,  mantenendo i miei incarichi e pure lo stipendio (seppure guadagnandoci in termini di esperienza), da gravida divento particolarmente spietata, che diamine, per orgoglio di categoria. Fermo restando che indietro non si può tornare, credo che la parità femminile andrebbe conquistata anche con un po’ di buona volontà, non a suon di leggi paternalistiche.
E invece scopro che certe disuguaglianze vengono addirittura alimentate dal nostro sistema: ma perché invece di mantenerle a casa due anni ste mamme, non incrementare adeguatamente strutture pubbliche o sovvenzionarne di private permettendo loro di tornare serenamente nel mondo degli adulti produttivi prima che il cervello vada in pappa di semolino e pampers?
essima che tirava le cuciture alline)
Certo di base ci sta che l’impiegata media non è motivata come una dirigente, che ognuna ha il suo carattere e le sue priorità nella vita. Liberissime. Liberissime di prendersela con chi poi a parità di stipendio preferisce impiegare un uomo…
Il futuro zio inorridito mi guarda come se fossi un orco rosa e si offre di prendere lui il congedo per accudire il nipotino, che crescono in fretta quei cosi lì, anzi a due anni pensava di prendergli una ferrari a pedali, o meglio una jeep?
Il capo, futuro nonno, propone diplomaticamente una culla dietro la scrivania già al terzo mese di vita, vicino alla cuccia del primogenito peloso, sicuramente mira alla catechizzazione precoce di un possibile erede per l’impero. (Papà rassegnati, probabilmente da grande vorrà fare la rockstar… )
Occhei – io sono una superfortunata – dovrei alzare le spalle, mordermi la lingua  e cercare di spassarmela.
Ma porca vacca: dove mi appoggio mi addormento, ho sviluppato un malsano attaccamento al velluto del mio divano, ho urgente e disperato bisogno di una pedicure decente, uno specchio magico che mi levi due taglie e non mi trovo più tanto a mio agio in locali affollati – ma mi ostino a non voler essere considerata una bambolona di cristallo o, peggio, una prossima latteria ambulante.
Essì, dici così ma poi vedrai..
Mah.
E allora controvoglia comincio a delegare.
A prendermi più tempo per fare tutto – coi cinque minuti buoni per ogni scarpa allacciata, comprese le pause per riprendere fiato tra un calzino infilato e l’altro, e i 60 gradoni fino a casa col fido canetto che torna a cercarmi tre o quattro volte per capire dove diavolo sono finita.
Ad accettare che qualcun’altra faccia i lavori domestici al mio posto, a fare la spesa con consegna a domicilio, e a cercarmi un buon dog sitter e tanta nostalgia per le mie scarpe col tacco.
A lasciare dettagliati schemini esplicativi sulle pratiche in ufficio perché, oltre al fatto che sia fatto il mio lavoro in mia assenza, gradirei fosse fatto bene.
E in questo ambito alla fine ho deciso di assegnare ad uno studio esterno il compito di vigilare sulla sicurezza della mia azienda, ma questa è un’altra delirante storia.

cattive influenze
mercoledì 2 gennaio 2008 17.20
avete mai fissato il fondo caleidoscopico del water finchè gli occhi non spariscono ingoiati dalle palpebre gonfie?
dove han fallito gli ormoni, han trionfato i virus mannaggia....


a piedi gonfi nel parco
venerdì 4 gennaio 2008 0.07
Invece di crogiolarsi nel dissoluto abbandono al virus influenzale e concomitante sciatalgia da velleità di gravidanze da tardona, un paio d’occhi marroni e un tartufo insistente nel mezzo convinsero ieri mrs Hyde a sospendere la meritata recita della sua lagna inascoltata dal divano per trascinarsi, guinzaglio alla mano e baldanza da bradipo, alla perlustrazione delle puzze sparse nel solito quartierello semi abbandonato nella festività.
Chi sceglie un cane come amico, se lo sceglie anche sotto la pioggia di gennaio e con l’influenza.
Chi come me se lo trova pure un po’ carogna igienista, se lo becca di quelli che non sporcano in giardino, ti spiano dalla porta del bagno con la crapa inclinata mentre abbracci in ginocchio la tazza in convulsa e lacrimevole personale imitazione di “Riposseduta”, scostandosi un poco quando barcolli semiaccecata dallo sforzo e dai virus e come un pipistrello rosa sovrappeso riguadagni quello che pensi sia una postura dignitosa.
Singolari nella loro sensibilità, questi fedeli compagni ti concedono un abbondante quarto d’ora di tempo per abbandonarti al compiacimento del delirio febbrile, prima di intimarti a ricomporti, te e il tuo schifoso fazzoletto alla mano e inarticolati mugolii nasali.
Sbuffando si scuotono, si avvicinano al tuo giaciglio, annusano il semivivo e lo rianimano con una leccata fetida che solo il cuore di un padrone può apprezzare.
A quel punto non puoi che rotolare su un fianco, coprirti con tutto il contenuto dell’armadio che ancora ti entra e, smoccolando come un carrettiere che sognava un criceto invece di un setter, tirarti dietro porta, paletta e cane.
In realtà l’aria fresca della sera è un toccasana per il garbuglio di recriminazioni, vittismo e germi che cova il cinofilo influenzato, e infatti abitualmente dopo i primi cinque minuti finisco coll’apprezzare il forzato vagabondaggio, pentendomi come una ladra di aver accarezzato pocanzi il progetto di un vile scambio con un autistico roditore da rotella, incolpando gli eccipienti delle pastiglie di paracetomolo, che oggigiorno non sai mica cosa ci mettono dentro.
E poi magari ti capita come ieri appunto di trovare il cancello nordovest del parco ancora aperto alle sei, ti ci infili beandoti di vederlo trotterellare libero e spensierato, lo spietato quadrupede riabilitato, sotto la pioggerellina nebbiosa che scintilla attorno ai lampioni quel tanto da farlo contento scampandoti un po’ di strattoni al braccio, e sganciato il moschettone al giaguaro, ficchi le mani intasca e fischiettando ti incammini al seguito smarrita in una bolla senza tempo.
Una bolla senza tempo, ma pure senza suoni, cavolo.
L’abitudine del custode ordinario di chiudere il cancello sud-est per ultimo, e pure dopo aver fischiato come un'aragosta in pentola evidentemente non è congeniale al suo sostituto.
Arrivati al cancello d’uscita l’abbiam trovato chiuso.
Pochi rimedi si dimostrano efficaci come un bello spavento, ve lo posso assicurare.
E il pensiero di trascorrere la notte chiusa nel parco fa miracoli per la sciatalgia.
Scatto da velocista al cancello al varco di nordest, chiuso anche quello.
A quel punto persino i neuroni erano completamente vispi, e pure la lingua a dirla tutta.
Senza grandi speranze, col fido compagno allarmato ma inconsapevole al mio fianco, siam tornati sui nostri passi, all’ingresso, rassegnati ormai a dover confidare nel buon cuore di qualche passante che ci potesse aiutare ad uscire dalla nostra verdeggiante galera a cielo aperto in quella sera di tempo da cani e senza telefonino.
Impossibile per me tonda come una mortadella riuscire a scavalcare i cancelli. E poi giammai avrei abbandonato il mio compare al destino di randagio di una notte.
Porca vacca.che guaio.
Fortunata (..) sorpresa! il buon custode (boia, carceriere?) dal polmone pigro, di contro deve aver avuto il timpano solerte, immaginando così che potesse esserci ancora qualcuno a spasso tra le aiuole.
E probabilmente per questo mi ha guardato un po’ strano, quando grata l’ho salutato, che una placida gravida col suo cagnetto snob chi mai l’avrebbe detto potesse produrre simili irripetibili improperi e insulti da angiporto complice la clandestinità dei cespugli?


...3....2....1!
sabato 5 gennaio 2008 14.27
Il mio orologio perde cinque minuti ogni due giorni.
E il datario si incanta al 21 di ogni mese.
Me lo regalai in una gioielleria natalizia del centro, alla fine di un anno meritevole, scegliendo un modello “boy” dal quadrante chiaro, l’acciaio lisciato dal precedente rude proprietario.
Mi piacciono gli oggetti con una storia.
Mi piace pensare che ognuno abbia il proprio percorso.
Non mi disturba sapere che nulla è per sempre, aumenta la mia consapevolezza del presente, e arricchisce il mio passato.
Potrei perderlo, potrebbero rubarmelo, potrebbe definitivamente fermarsi.
O potrei regalarlo, un giorno.
Ed essere felice di averlo potuto fare.
Ma per ora è al mio polso.
Una trentina di persone festanti intorno, gioviale confusione, cicaleccio di femmine fidanzate, tacchi e lustrini, raso e paillettes, sfoggio di bicipiti e camice discretamente fuori dai calzoni, boati alcolico-riderecci e sguardi assassini direttamente proporzionali al tempo trascorso dall’ultima copula, vassoi di cibo di ogni forma e colore, bicchieri e bottiglie sparse per l’appartamento del nostro ospite, trasformata nel giro di un anno da scannatoio di buon gusto a ricercata ed accogliente casa borghese dall’occhio e dal cuore di una bellissima forestiera piena di “s”.
Così ci è passato attraverso un altro anno.
Un pensiero ai caduti del virus stagionale o del cuore innamorato che mancano all’appello, una rassegna del chi, cosa e perché è successo negli ultimi dodici mesi.
Sono sempre più belle le mie femmine, quelle che non hanno smesso di fumare, quelle sempre a dieta, quelle ancora single, quelle convalescenti e quelle sbronze.
Sono grata al buon senso dei miei anni, per aver smesso da tempo la rincorsa del festino obnubilante e mondano. Un buon inizio lo trascorro con chi posso tra gli amici cari, quelli coi quali ho passato un anno da ricordare e coi quali mi appresto a viverne uno decisivo.
Intanto io spio, dalla lucida trasformazione in atto su di me, mezzo bicchiere di bolle in mano, terza fetta (microscopica) di panettone e un po’ di mal di schiena per quattro dispettosi cm di tacco (o forse sono i miei soliti +10 kg, pure scalcianti).
Un augurio sincero a tutte, ovviamente in ritardo, che la voglia di essere come siete non vi manchi mai.

1....9...4....!!!!
domenica 6 gennaio 2008 22.11
E allora parliamone.
In fondo c’abbiamo tutti e due gli occhi celesti e adesso pure la panza.
D’accordo, a me la barba cresce solo sulle tibie, e di rossiccio c’ho giusto il cane.
Ma senti Giuliano caro, sta moratoria che ti tiri fuori così sotto l’albero mi sa un po’ di riciclo tardivo, che a turno ci han già rifilato in tanti, e guarda, sarà mica un caso che lo fanno soprattutto i politicanti maschi, tanto da far un po’ di baccano, quando ci sarebbe roba ben più urgente da sistemare?
Vorrei vedere te.
Vorrei vederti ragazzina, che ti fidi perché quando sei innamorata a quell’età non pensi che niente potrà andare storto o che non vuoi ingrassare. E la paghetta ti serve per le siga e la ricarica, la benzina per il motorino e la maglietta figa. E quello che sai di come si resta incinta te l’han detto le amiche, perché magari vai a scuola dalle suore e lì di contraccezione guai a parlarne seriamente con qualcuno di preparato, e ci si finge sapienti e fortunate e Bratz.
Oppure vorrei vederti quando il tuo compagno, che ti diceva di non preoccuparti che ci pensava lui, si è dimenticato poi di comprarli i preservativi, e che ora che ci pensa davvero non se la sente proprio, che gli dispiace tanto, ma sai, davvero è un impegno troppo grande, anzi forse è meglio se vi lasciate, da amici, eh.
O ancora, vorrei vederti se le tue analisi del sangue dicessero che tu la pillola non la puoi proprio prendere, perché ora le fanno leggere leggere, ma c’è sempre un margine di rischio, e passi la ritenzione idrica e gli ormoni che ingoi ogni sera, ma una trombosi può sempre capitarti dopo i 35 alla sesta sigaretta.
O ancora, il mutuo, il marito disoccupato, i genitori anziani e ammalati, i quattro figli che già hai, e il prezzo degli asparagi.
O semplicemente, la carriera che hai scelto di mettere davanti a tutto, perché coerente con la pubblicità dell’ora di cena anche se non sei un uomo.
Adesso rispondimi, in tutta sincerità.
Viviamo in un mondo dove è comunemente accettato vedere donne seminude, uomini oggetto e il perseguimento a tutti i costi di una vita di appagamento. Il sesso è stato ormai affrancato dalla procreazione nella testa di buona parte degli italiani, che tanto a messa non ci vanno, se non a Natale, magari se trovano una chiesa alle Maldive.
Perché, quindi, la 194 torna ciclicamente a tormentare i nostri telegiornali?
Posto che credo che il problema principale – a monte – sia l’ignoranza, perché non lavorare sulla prevenzione anziché negare la possibilità di una scelta a chi si trova ad affrontare una gravidanza non voluta, perché non ficcare a forza e gratuitamente in testa o in tasca quali sono le possibilità, invece di sindacare sulla gestione delle conseguenze?
Nonostante tanto sbandierare di libertà, temo che non siamo affatto pronti ad amministrarla responsabilmente, e siccome nella maggior parte dei casi il rifiuto di una maternità avviene proprio per non rinunciare alla propria indipendenza personale forse il fatto che a criticare la legge siano più spesso gli uomini (di chiesa e non) non è casuale, visto che sono ancora le donne in Italia a farsi carico maggiormente in termini di tempo, dedizione e cure alla prole.
La vituperata 194 prevede che i Consultori forniscano assistenza alle donne, o coppie, in stato di necessità. Ma quando la necessità si presenta è perché probabilmente la frittata è già fatta, perché catto-italicamente ci si è premurati solo di dire che non si fa, pur sapendo che invece lo fanno tutti, anzi chi non lo fa in fondo è un po’ uno sfigato.
Ma così si cura, forse, ma non si guarisce mica.
E nello specifico caso di chi volesse optare per una soluzione terapeutica, certe indagini cliniche non possono essere effettuate prima di determinate scadenze, dopodichè come puoi arrogarti di imporre ad un possibile genitore di scegliere nel giro di qualche giorno di allevare o meno un figlio svantaggiato in un mondo come il nostro, senza strutture, senza le sovvenzioni e ma con  tanta cultura della perfezione fisica, del vincente a tutti i costi e dell’ “io” prima di tutto?
Perché invece di preoccuparsi di mettere a questo mondo futuri cittadini non voluti, destinati magari a finire accoppati da un mestolo di rame o un tacco a spillo o anche solo abbandonati davanti alla play o a youtube non studiare un vaccino che finalmente debelli le ultime sacche del virus del rispetto per l’essere umano – non quello nascituro, ma quello già nato, tassato, drogato di consumismo e violentato quotidianamente dagli esempi della nostra classe politica e televisiva? Secondo me non ci vuole poi tanto, e vivremmo tutti dissoluti e imperturbabilmente contenti…
Le famiglie superstiti dei disadattati che circondano il tuo nuovo amico porporino, caro mio,  già vivono una realtà basata su una moralità emarginata, bontà loro, magari non hanno manco la tv, ma il resto del genere umano non è disciplinato per natura,  e se non sceglie di esserlo, tu penserai mica che basti modificare una legge che regola le conseguenze per poter risolvere il problema?
Così come non puoi davvero pensare che la scelta di interrompere una gravidanza non sia priva di dolore per chi la affronta, un dramma personale e specifico, di impotenza, solitudine e – anche per le più incallite recidive – di inequivocabile fallimento. E non parlo dello scudetto mancato della squadra del cuore, ma di qualcosa che ti segna nella tua essenza di animale femmina, sia che succeda a 18 che a 45 anni.
Secondo me l’auditel ti ha dato alla testa, e noi siamo solo la generica metà più gentile di un pubblico che cerchi di incantare o far incazzare.
Allora, lascia stare la 194, e studiane piuttosto un prequel efficace. Ma una roba che coinvolga tutti, tutto il nostro paese di Mamme che ce n'è una sola, ma anche di Papà che abbiano testa, oltre che palle, che sappiano quello che fanno, e che lo insegnino ai loro eventuali figli.
E poi, scusa, ma tu, quanti bambini hai?

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